Quando cominciò la guerra in Cecenia conducevo, in una radio locale, una
trasmissione che affrontava diversi argomenti. Al riguardo affermai che ne
avremmo sentito parlare ancora, mentre in tanti affermavano che era un fuoco di
paglia. Ebbi ragione io. Negli ultimi anni, poi, seguendo la crisi in
Medio Oriente ho sempre pensato e detto che i prossimi "fuochi"
sarebbero stati accesi in Libia e in Siria. Ed è avvenuto.
No, non toccatevi, non porto sfiga, ho buon intuito … e anche una laurea in
Storia Moderna.
E adesso veniamo alla Turchia e agli ultimi avvenimenti che in questi
giorni la vedono protagonista.
Aridamme!!
Sì, aridamme… intanto rispolveriamo un po’ della sua storia.
Nonostante la vediamo più vicina ai paesi orientali, la Turchia, fin
dall’antichità, è stata considerata parte dell’Europa, tanto che Erodoto e
Dante ritenevano che ne fosse l’estremità. Tenendo conto, poi, delle radici del
popolo turco dobbiamo ammetterne le origini ariane se guardiamo ai Lici, agli
Ittiti, ai Panfili, agli Armeni ai Lidi,ai Frigi, ai Celti ecc. con i quali i
Turchi Selgiuchidi e in seguito i Turchi Ottomani si fusero determinando, nella
popolazione, più fattezze europee che asiatiche. Ad avvicinare questo popolo
ancor più all’Europa fu il fatto che le stesse madri dei vari sultani erano
spessissimo slave, circasse, greche o italiane e questo fatto aveva una valenza
non indifferente.
Dopo la prima guerra mondiale l’impero ottomano, che nei secoli
passati aveva dominato su Anatolia Orientale, Caucaso, Medio Oriente,
Europa Centrale e Nordafrica, era ridotto in cenere. A farlo risorgere, e a
rendere omogeneo un popolo così vario e complesso, ci pensò, se pure
in modo forzato, Mustafa Kemal a cui va riconosciuto il merito di aver
modernizzato la società turca.
Infatti, egli abolì il califfato, soppresse i tribunali religiosi e le
scuole coraniche, sostituendo, a queste ultime, scuole elementari di Stato,
dalle quali sarebbe partito quel sistema educativo basato su patriottismo e
laicismo. Furono banditi gli ordini dei dervisci e fu tolto dalla costituzione
il riferimento all'Islam quale religione di Stato. Nelle funzioni religiose fu
vietato utilizzare l'arabo, assorbito in precedenza e con entusiasmo dalle
classi dirigenti, o qualsiasi lingua che non fosse il turco, fatto che causò
molte proteste, subito represse. Allo stesso modo si cercò di annientare
l’autocoscienza etnica delle minoranze curda e armena.
Ancora più rivoluzionaria fu la riforma della scrittura, sostituendo
all’alfabeto arabo quello latino, dato che il modello da seguire era ormai la
moderna Europa. Vennero perciò adottate norme per introdurre l'abbigliamento
europeo e furono avviate campagne contro il velo femminile, fu riconosciuto il
diritto di voto alle donne e furono introdotti codici di ispirazione europea
per il diritto civile, penale e commerciale. Nel 1934 diventò obbligatorio l'uso del cognome, che non esisteva, e
l'assemblea nazionale assegnò a Mustafa Kemal quello di Atatürk, padre dei
turchi.
Per attuare queste riforme fu necessario, però, inculcare nella mente dei
turchi l'orgoglio etnico e così furono fatte circolare teorie che attribuivano
loro un ruolo centrale nell'evoluzione dell'umanità, alimentando un
nazionalismo esasperato che rifiutava qualsiasi altra popolazione che non fosse
turca (vedi curdi e armeni).
Dunque, malgrado le apparenze, la Turchia di Atatürk, pur non divenendo mai
stato totalitario, fu una dittatura alla quale, nonostante le contraddizioni,
come afferma Fabio Grassi nel suo libro “Atatürk. Il fondatore della Turchia
Moderna”, si può riconoscere un sostanziale successo dato che, in un mondo
sottoposto al dominio coloniale occidentale, la Turchia, che aveva rischiato lo
smembramento, era finalmente libera, indipendente e soprattutto
rispettata, tanto da esser presa ad esempio dai paesi in via di
sviluppo.
Con la morte di Atatürk, nel 1938, non muore certo il kemalismo che, con l’esercito a guardia della via
tracciata dal leader riformatore, prosegue, con alterne e varie vicende, più
o meno fino ai giorni nostri.
Si arriva così alle
gravi crisi politiche del 2003 e del 2007 in cui il partito Repubblicano del
Popolo, il CHP fondato da Kemal, perde le elezioni. Vince con una marea di voti
l’AKP, il partito della Giustizia e dello Sviluppo, islamico-moderato, guidato
dall’ex sindaco di Istanbul R. T. Erdogan. A questo punto i guardiani del
laicismo di Stato non se la son sentita di rovesciarlo.
Dopo queste elezioni, la società turca si
spacca in due: da un lato i progressisti, i conservatori religiosi e gli
elettori convinti dell’importante ruolo giocato dall’Akp nel risollevare
l’economia turca, dall’altra i nazionalisti, i laicisti e i giovani
progressisti contrari al crescente peso politico della religione, spaccatura
che si accentua quando vengono prese alcune decisioni in politica interna, tra
cui la reintroduzione del velo, il ridimensionamento del ruolo dell’esercito e
il sostegno alla candidatura turca nella UE.
Erdogan, per lungimiranza politica o per opportunismo, sostiene l’anima
europea della Turchia, ma a poco a poco comincia a discostarsi da questa
ideologia europeista (o piuttosto è costretto ad
allontanarsene quando, in seguito ad alcune sue affermazioni
riguardo alla questione degli armeni e dei curdi, Francia e Inghilterra ne
pongono il veto, tanto che la sua entrata in Europa è ancora in negoziato di
adesione) e a disegnare un diverso profilo della politica estera turca.
Infatti, egli pensa che la Turchia ha la possibilità di svolgere un ruolo
internazionale di primo piano grazie al suo profilo geografico di ponte tra
l’Europa e l’Asia e che, nonostante resti un’alleata degli Stati Uniti (nel ’45 è uno dei
fondatori dell’ONU e più tardi entra nella NATO) e aspiri ad entrare nella
Comunità Europea, possa cominciare a ridefinire autonomamente i propri
interessi, sganciandosi, in alcune occasioni, dall’appoggio statunitense ed
europeo o dal loro pensiero, come quando nell’episodio della Freedom
Flottilla (31 maggio 2010) si schiera contro il raid israeliano, offrendo la
sua solidarietà agli abitanti e al governo della Striscia o quando il 17
maggio 2010 firma un accordo con Brasile e Iran (asse
Lula-Erdogan-Ahmadineijad) sullo scambio di uranio, per evitare all’Iran una
quarta tornata di sanzioni diplomatiche. Un altro importante tassello della
politica estera turca è l’interesse per i Balcani, con i quali i
contatti e le relazioni diplomatiche si sono intensificati e il cui obiettivo è
quello di una collaborazione strategica, a questo punto anche con la Russia
(con la quale ha avuto, almeno all’apparenza, rapporti tiepidi, dato che la sua funzione
di bastione centrale della Nato, con gli USA che ne curarono la formazione
militare e la fornitura di armi, era prevalentemente antisovietica), per un rilancio della
regione, abbandonata dall’Europa e dai vicini paesi del Mediterraneo.
Questo cambiamento nella politica estera turca nasce anche da forti
motivazioni di tipo economico: le imprese turche devono crescere e aprirsi ai
vari mercati e, infatti, conseguono presto ottimi risultati sui mercati
mediorientali e centroasiatici. Così, mentre l’Europa soffre a causa della
crisi dell’euro, la classe media turca diventa maggioranza, sialza il tenore di vita
e la povertà viene arginata. C’è, insomma, crescita economica e per questo
parte di quella classe media, che adesso può prendere respiro, si rende conto
che Erdogan, colui che in passato aveva detto che sarebbe stato il primo
ministro di tutti, sta proteggendo solo quella parte della popolazione che la
pensa come lui. Prende dunque le distanze e chiede non solo il rispetto dei
diritti individuali, ma che i cittadini vengano ascoltati e non forzati ad
accettare qualsiasi decisione venga dall’alto. Questo perché, già da tempo, il
partito di Erdogan cerca di far approvare alcune norme restrittive, come quella
del 2004 che vorrebbe considerare reato l’adulterio. Provoca poi indignazione
quando vara una riforma della scuola che riporta in primo piano le scuole
religiose, per l’educazione di future «generazioni devote»; fa proibire
l’alcol, censurare internet, vietare persino il rossetto rosso per le hostess
della Turkish Airlines. Anche i tentativi di limitare comportamenti considerati
moralmente inaccettabili, come il divieto mostrare le gambe femminili nelle
pubblicità o di baciarsi nell’area della metropolitana di Ankara, vengono
accolti come segni fortemente conservatrici, di impronta islamica contro cui
ribellarsi, tanto che molti giovani sfidano le autorità e sfilano con bottiglie
di birra in mano, depositate poi lungo le strade.
Ecco come e perché si è arrivati alle manifestazioni di questi giorni.
“Questo sconvolgimento non è certo scoppiato solo per difendere un parco”,
ha affermato Yildirim Turker, uno dei più noti giornalisti indipendenti finiti
sotto processo più volte con l’accusa di “aver offeso l’identità turca, di aver
insultato l’esercito e lo Stato.
I giovani delle periferie e gli studenti universitari che sono scesi in
piazza quando Erdogan ha annunciato che l’Ataturk Cultural Center, in Taksim
Square, sarebbe stato demolito hanno compreso il messaggio sotteso e hanno
reagito per pretendere una globalizzazione dei diritti, senza compromessi. La
loro è stata ed è una “rivolta” contro le politiche del governo, fatta per
paura che si possa andare verso una Repubblica Islamica e si possano perdere
quelle libertà di cui l’attuale Costituzione, frutto di una guerra di
liberazione, è garanzia.
Gli oppositori, poi, accusano l’Akp, il partito di Erdogan, di essere
troppo vicino a una classe di imprenditori che ha trovato fortuna
parallelamente all’ascesa del partito islamista: quella dei costruttori. Gezi
Park è al centro di un’ennesima speculazione immobiliare a Istanbul, dato che al
suo posto è prevista la costruzione di un nuovo centro commerciale. Per non
parlare della maxi moschea che sorgerà sulla collina sovrastante la parte
asiatica di Istanbul e che getterà la sua ombra sui gioielli dell’architettura
religiosa ottomana in città.
I giovani di Piazza Taksim temono dunque proprio questo: che Istanbul si trasformi in
una nuova Qom (Qom è una città dell’Iran, uno dei luoghi sacri per i musulmani
sciiti, residenza di Khomeini da cui, dopo la rivoluzione del 1979,
guidò l'Iran), e hanno gridato il loro dissenso, tanto da essere attaccati
violentemente dalla polizia, i cui assalti hanno causato la morte di quattro
persone, tra cui uno stesso poliziotto.
Le immagini, quelle fatte con i telefonini
hanno fatto il giro del web, quelle ufficiali delle manifestazioni, dei
pestaggi e dell’atteggiamento criminale dei poliziotti, sono state invece
censurate dai canali all news, apparentemente indipendenti.
Intanto arriva l’invettiva di Erdogan contro i rettori universitari, rei di
aver sospeso le sessioni di esami per dare la possibilità agli studenti di
continuare a esercitare il loro diritto costituzionale di manifestare nelle
strade del paese.
A scusarsi, a nome dell’esecutivo “con quanti hanno subito violenze a causa
della loro sensibilità”, è soltanto il vicepremier Bulent Arinc in una
conferenza stampa, in cui ha anche lanciato un appello a far cessare le
manifestazioni.
Secondo il governo, la rivolta ha fatto 160 feriti tra i poliziotti e 60
tra i civili, per l’associazione dei medici i feriti sono 2.500 soltanto tra
Istanbul e Ankara.
Ogni tipo di manifestazione, soprattutto
se pacifica, è sacrosanta quando serve a difendere i propri diritti e questa lo è. Però un
pensiero mi balena ogni tanto riguardo ai vari focolai che spesso
nascono qui e là sul pianeta, e dato che quasi sempre c’è l’America di mezzo,
quella che si erge a paladina delle nostre libertà solamente per far suoi i
nostri interessi, mi chiedo se anche in questo caso c’è il suo zampino.
Erdogan ha sbagliato a voler riportare indietro
le lancette dell’orologio, ha sbagliato a non tener conto dell’anima
profondamente europeista della Turchia, a non tener conto dei diritti
sacrosanti di tutto il suo popolo, ma soprattutto ha "sbagliato" a volersi
sganciare dall’America (non lo fece, ad esempio il successore di Ataturk , Ismet Inönü ,
che dopo la seconda guerra mondiale,
alla quale la Turchia non aveva partecipato, fu spinto dagli
anglo-americani e contro la volontà del suo partito a introdurre il multipartitismo)
che comincia a non vederla più come il bastione su cui la Nato ha potuto sempre
contare.
E adesso è proprio lui, il primo ministro
turco, a dire: "Tra chi protesta ci sono estremisti, alcuni
sono implicati nel terrorismo".
Lo ribadisco ancora una volta, Erdogan ha sbagliato e ha sbagliato di grosso, ma io mi chiedo: di quale terrorismo parliamo?
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1. Scritto da anna alessandrino, il 07-06-2013 22:39 Anch'io, cara Marista, volevo capirne di più. Certo ricordavo la storia complessa della Turchia, ma non tutto della sua politica interna o estera. Sono stata tre giorni a studiare! :-) Sì, in Turchia c'è una popolazione molto variegata, ma da quello che ho capito, leggendo, è che la stragrande maggioranza non vuol sentirsi asiatica o orientale. Naturalmente poi ci sono le contraddizioni, ma penso che nel loro caso sia normale data la posizione strategica in cui si trovano.Intanto staremo a vedere i futuri sviluppi...e non voglio dire quello che penso!!! Beata te che hai potuto visitare quei posti, io penso che soltanto così si possano comprendere un po' meglio i costumi e la cultura di altri popoli. Sono contenta dunque che ciò che ho scritto ti sia piaciuto. Auguro anche a te un buon fine settimana e ti abbraccio. Anna.
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2. Turchia Scritto da Marista, il 07-06-2013 22:00 Finalmente spiegato in modo piano, comprensibile ed esaustivo quanto sta accadendo in Turchia,grazie. Speriamo che trovino presto il loro equilibrio. Temo non sia facilissimo, tutto il popolo, hai detto niente. Quante anime ha quel popolo? ho fatto un breve viaggio ad Instambul spingendomi fino a Smirne ed oltre, divesi anni fa, e sono rimasta stranita dalle differenze, dalle contraddizxioni e dalla sensazione di una inquietitudine sotterranea, correnti di volontà e forze contrapposte. Tutti avrebbero pari diritto a vivere nel modo che più gli aggrada.. la quadratura del cerchio! Ciao Anna buon fine settimana
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