Anna Cilifrese è una giovane donna pugliese che ha sempre amato scrivere.
“Non so dire precisamente quando ho
cominciato a scrivere, ma so di certo che amo farlo.”
Questo dice di sé l’autrice di “Le
radici dell’odio”, quando parla del suo amore per la scrittura.
Ricorda che alle scuole medie scriveva brevi racconti horror che il
professore, uomo di poche parole, pareva apprezzasse, pur non esprimendo mai
una opinione su di essi, senza tener conto che di fronte a lui c’era una
giovane adolescente che aveva bisogno di essere incoraggiata e di credere in se
stessa. E' stato così che Anna ha dovuto imparare a farlo da sola, mettendo per
iscritto, sul suo diario, sensazioni ed emozioni che via via arricchivano il suo
animo.
Avrebbe voluto iscriversi a Lettere, dopo la maturità tecnica. La vita,
invece, l’ha portata da tutt’altra parte. Infatti si è sposata e ha una
bellissima bambina. Tuttavia, quell’amore per la scrittura non l’ha mai abbandonata, tanto da
farle scrivere questo romanzo, ispirato a una vicenda vera. Inizialmente erano solo pagine scritte quasi per gioco, un modo per
tenersi allenata. Quando poi le ho
lette (sono stata forse la prima), io stessa l’ho incoraggiata ad andare
avanti, spingendola a tentare la via della pubblicazione.
È Laura
la protagonista di Le radici dell’odio e attorno a lei
gravitano altri personaggi con i loro vizi e le loro virtù tra cui Roberto, suo
marito, Alessia la loro figlia di sette anni, Simona, l’amica del cuore, l’avvocato Maurizio, il padre
e la suocera.
Tutta la storia nasce dall’ostinazione di Laura di
voler mettersi sulle tracce del padre, che non ha mai conosciuto, perché sente
che deve colmare un vuoto dentro di sé e deve conoscere i motivi che hanno
divelto tanti anni prima quelle radici. Questa ricerca la porterà a
scoprire una verità inimmaginabile, un inganno che sfalderà il suo rapporto con
Roberto, rapporto che apparentemente sembra molto saldo e basato su un grande
amore. Sembra, però, perché quando
in una coppia non c’è sincerità tutto, prima o poi, va a rotoli. Se poi mettiamo
l’intromissione di fattori esterni (la madre di lui…e non solo), il figlio
succube di questa madre e una bugia grande quanto una casa, allora il quadro è completo. Solo che “i grandi”, come al
solito, quando hanno problemi tra di loro, si muovono come dei
bulldozer e non tengono conto che possono far del male a chi è
più indifeso e vulnerabile, come i bambini. E, infatti, a farne le spese è Alessia, che in tutto questo marasma, in questa guerra, in questo groviglio di
sentimenti, viene sballottata come un
pacco ora qui ora là, in un intricato gioco di cavilli burocratici e giudiziari,
come quando:
[…]
Che succede? Mio Dio… è successo qualcosa alla bambina! Entro in casa come una
disperata e vedo due donne che tengono mia figlia per mano […] una delle donne
inizia a parlare. “Signora, siamo assistenti sociali, mi dispiace, ma sua
figlia deve venire con noi.” [… ]
Nel momento in cui Anna Cilifrese tratteggia questi avvenimenti
della storia di Laura, pur nella loro drammaticità, lo fa in modo delicato, mai
a tinte forti, ma con un linguaggio asciutto e veloce che ci rimanda con la
memoria ad alcune fatti di cronaca di cui i media spesso si sono occupati. Quante volte abbiamo sentito o letto di fatti che riguardano bambini allontanati
con la forza dalla madre, per eseguire l’ordinanza del Tribunale che ne stabiliva
la collocazione in un altro ambito, prima di essere affidati al padre? Sono passi
che fanno davvero riflettere, tanto che il lettore si porrà inevitabilmente la
domanda del come si possa arrivare a causare un così alto livello di tensione
nei bambini, tensione indotta non solo dalla conflittualità tra i genitori, ma anche
dall’agire sia del sistema sociale che di quello giudiziario, a cui purtroppo pare non
interessino i motivi che hanno portato a
tanto malessere, amplificato quando non si considerano l’angoscia, il
timore di abbandono e il grande disorientamento vissuti dai minori.
Questi momenti di tensione vengono descritti sempre con toni mai violenti. Del resto la particolarità di questo romanzo è proprio tutta nelle
sfumature che, come detto prima, non sono mai accese e spaziano dai toni del rosa:
[…] e poi esco fuori, in quel mondo che è
ancora in debito con me, in quel mondo che riesco ad apprezzare solo grazie al
mio Roberto, la persona che più mi ama al mondo […]
e del rosso:
[…]“Sei
come tua madre, bellissima!” Un misto di gioia e rabbia mi pervade e parte
d’istinto e incontrollato uno schiaffo che lo prende in pieno viso[...]
a quelli più cupi:
[…]Arrivano
due infermieri che mi tengono ferma mentre un’altra mi fa una iniezione, cerco
di divincolarmi, ma il mio corpo già non risponde … poi buio[…].
per poi tornare al … eh no, non ve
lo dico il colore della fine.
Sì, dovete proprio leggere Le
radici dell’odio, prima perché ci porta
avanti e indietro nel tempo, dove vengono ricostruiti alcuni anni di vita perduta, e poi perché
non mancano conflitti e capovolgimenti che man mano s’intensificano e
coinvolgono sempre più i personaggi, tutto narrato con un ritmo stringato, veloce, a volte addirittura concitato, tanto
che, per poter arrivare
in fondo il prima possibile, si legge d’un fiato.
E, credetemi, l’ho fatto anch’io.
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