Foto da Ecoo.it
Gli scavi esplorativi che sono stati effettuati si trovano a pochi metri dalla Maddalena di Chiomonte, il luogo che è stato scelto per costruire il tunnel per le gallerie della Tav
fra Torino e Lione. Il governo ha dato via libera alle autorizzazioni
ed ha assicurato che il progetto non determina danni ambientali, né
diretti né indiretti. In ogni caso non bisogna dimenticare che nella Val Susa si trovano molte miniere d’uranio e la popolazione locale è preoccupata proprio per la presenza del minerale.
TAV: Finalmente, nell'articolo che
segue, viene svelato fino in fondo e chiaramente il perchè della volontà di non
abbandonare, contro ogni evidenza, un progetto messo in dubbio dalla
stessa Francia e che sembra mostrare ogni giorno in più una
inutilità che si accompagna a manifesta dannosità per il nostro Paese :
aumento del debito Pubblico, rovina del territorio di una delle più
belle località turistiche dell'Italia con ovvie ricadute sulla
economia della zona.
Da micromega:
Modello Tav il debito che piace ai
tecnici
Intanto , da Brescia oggi, i costi come fino ad ora quantificati
Il costo complessivo del tunnel è di
143 milioni di euro (Iva esclusa) di cui 65,5 finanziati dalla Ue,
mentre l'Italia contribuisce con 50,75, la Francia con 26,75. Il
progetto definitivo del tratto internazionale della Torino-Lione sarà
pronto entro il 9 febbraio. Il costo ammonta a 8,2 miliardi di euro:
la Ue potrebbe finanziarlo fino ad un massimo del 40%, per il
restante gli accordi hanno stabilito che l'Italia se ne dovrà
accollare il 57,9%, la Francia 42,1%
micromega:
Dietro l'alta velocità si nasconde un
meccanismo di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle
perdite. A pagare gli ingenti costi infatti sono i cittadini, a
testimoniarlo la Corte di Cassazione la quale ha decretato che i
"debiti" del Tav verranno pagati dalle generazioni future
fino al 2060.
di Francesca De Benedetti: Modello Tav il debito che piace ai
tecnici
Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle
perdite, il sistema Tav docet. Nel silenzio generale dei media
mainstream. E se per i “tecnici” ridurre il debito corrisponde a
ridurre la spesa pubblica attraverso il dimagrimento o persino lo
smantellamento dello Stato sociale, per sfatare la convinzione tacita
e diffusa che rigore significhi sottrazione al pubblico e alla sua
dimensione occorre parlare proprio del Tav.
Una scelta che
potrà stupire, in un contesto in cui la rappresentazione sociale
veicolata dai media relega spesso al silenzio questo tema, e in ogni
caso predilige le chiavi semantiche e interpretative della
“violenza”, della “tensione”, lasciando spazio comunque più
alle azioni che alle ragioni. Nel caso del Tav e dei movimenti ad
esso contrari – ma anche nel caso di altre manifestazioni di
contestazione che avvengono in Italia quanto in Grecia e altrove –
la stampa ci consegna la realtà (semmai decide di raccontarla)
attraverso il linguaggio della violenza, con modalità di
manipolazione dell’informazione non molto dissimili da quelle già
riscontrate negli anni Settanta. L’altra faccia della realtà
arriva perciò attraverso la controinformazione, oggi come ieri, e
oggi soprattutto grazie alla Rete.
E’ necessario però, per
una riflessione compiuta sulla crisi, sollevare il tema Tav dalla
dimenticanza generalizzata. Questo perché, come più di ogni altro
Ivan Cicconi ha avuto il merito di cogliere e divulgare come
dietro la grande opera si nasconda la messa a punto di un potente
sistema di ingrossamento e di occultamento del debito pubblico. Di
più, questo sistema viene poi replicato e diffuso in altri contesti
nazionali e locali. Lo ha affermato la Corte dei Conti: "La
vicenda è considerata paradigmatica delle patologiche tendenze della
finanza pubblica a scaricare sulle generazioni future oneri relativi
a investimenti, la cui eventuale utilità è beneficiata soltanto da
chi li pone in essere, accrescendo il debito pubblico. (...) Si
pregiudica l'equità intergenerazionale, caricando in modo
sproporzionato su generazioni future (si arriva in alcuni casi al
2060) ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali". Il sistema
inaugurato in grande stile con il Tav prende avvio con la
dichiarazione che a pagare saranno i privati, e si conclude con spese
reali lievitate ai massimi livelli e in sostanza a carico del
pubblico, così come il rischio di impresa. Privatizzazione sì, ma
dei profitti, e socializzazione delle perdite.
Inoltre, il
sistema Tav, la sua tipica architettura contrattuale, allenta le
“briglie” di controllo pubblico su opere pur costose, per di più
– la cosa è oggetto di indagine a Torino nel processo
“Minotauro” – con il sospetto di infiltrazioni di stampo
mafioso nella catena di appalti e subappalti.
Il cuore della questione è che,
attraverso specifici istituti contrattuali portati a regime proprio
con il Tav, quelli che venivano annunciati inizialmente come
finanziamenti privati si rivelano in realtà una quantità amplissima
di debito pubblico (una quantità molto più ampia delle previsioni
annunciate a inizio opera). Un debito “fantasma” che si annida in
società di diritto privato o nella spesa corrente delle
amministrazioni pubbliche, e che si tocca con mano poi, che ricade
sulle generazioni future fino al 2060, come ipotizza la Corte dei
Conti. O persino oltre quella data, visto che l’architettura
contrattuale tipica del Tav (basata sul “general contractor” e
sul “project financing”) ricorre in realtà in numerose opere
riguardanti gli enti locali. Esempi, e analogie con il “sistema
Tav”, si trovano infatti a Roma (la Metro C), a Parma (la sede del
Comune), a Bologna (la sede del Comune e il People Mover).
Quando
il governo Monti ha preso in mano il dossier Tav, un dossier su cui
molti fra cittadini e autorevoli professori e professionisti
nutrivano perplessità di fondo, nessuna perplessità su questa
grande fonte di debito è stata sollevata da parte dell’esecutivo.
Il governo “tecnico” ha invece valutato che non valesse la pena
neppure di riformare quel progetto coltivato con convinzione
bipartisan negli ultimi venti anni e più. Il premier ha piuttosto
confermato “piena convinzione e impegno per la realizzazione
dell’opera”, riferendo dissenso per la “violenza” delle
contestazioni ed esprimendo una blanda comprensione per i timori e
l’astio di chi vedeva la Tav come qualcosa di “lontano dal
proprio modello di vita”. Eppure la questione non riguarda solo il
cortile di qualcuno, né tantomeno solo temi ambientali. Deve saperlo
bene anche il governo dei “professori”: sotto questo governo, gli
istituti contrattuali che costituiscono la spina dorsale del “sistema
Tav”, come quello del project financing, sono stati persino
incentivati, ampliati, rafforzati. Il governo dei tecnici ha
infatti inserito a ottobre nel Decreto Sviluppo Bis sconti fiscali
proprio sui project financing. ( continua)
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