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Aquilani a Roma protestano per i loro diritti . Friuli anni 70 tutta una altra musica
Scritto da Marista Urru
sabato 10 luglio 2010
Protesta dei terremotati di l'Aquila a Roma. Incredibile, ma li hanno anche manganellati, e questo non credevamo di doverlo mai vedere.
I terremotati vogliono, se ho capito bene, la ricostruzione del centro storico della città. Si resta straniti, specie quando si apprende che, come per gli altri terremoti, il sindaco Cialiente, è stato nominato Commissario per il centro storico de l’Aquila, "..se ha qualche
protesta da fare si rivolga a se stesso, perche’ la sua
irresponsabilita’ e totale, non avendo preso una decisione da quando e’
stato nominato". Lo ha affermato il deputato del Pdl, Giorgio
Stracquadanio, e chi sa se ha ragione anche lui?
Cerco voci fuori dal coro, non mi fido nemmeno dei racconti dei giovani che sono andati ad aiutare con entusiasmo e ricambiati con affetto, mi dico che sono episodi che non fanno teesto, se protestano vuol dire che qualcosa è andatato storto, e trovo questo articolo che racconta fatti : da http://www.mpl.it/?p=10270
Posted on venerdì 9 luglio 2010
Pubblichiamo
l'intervento integrale di Alessandro
De Angelis,
giornalista de il Riformista, aquilano, ad un recente convegno sulla
ricostruzione all'Aquila:
Cari
amici, non so se succede anche a voi, ma andando in giro per la città
ho una sensazione di inquietudine. Per dirla con un verso di
Flaubert: "L'avvenire ci tormenta e il passato ci trattiene".
La sento ovunque, a ogni angolo della città e della memoria. Ebbene,
alla radice del problema che il verso di Flaubert evoca ci sono delle
motivazioni e delle responsabilità tutte politiche.
È ora di indicarle, a costo di
essere politicamente scorretti. Il problema è il presente, questo
presente. Perché è un problema? Perché il futuro non riusciamo a
guardarlo a causa di fenomeni morbosi, gravi, indecenti, vergognosi.
Che riguardano la politica. E nell'ordine sono: mancanza di una
operazione verità su quel che è successo, mancanza di una idea di
città e di ricostruzione (l'interregno, appunto), la mancanza di
una classe dirigente all'altezza, di una guida politica in grado di
indicare una prospettiva d'avvenire.
E qui credo che il cuore del
problema sia l'inadeguatezza e la gestione opaca di alcuni capitoli
della ricostruzione da parte di sindaco e presidente della regione.
Vado con ordine.
1) Che immagine politica ci ha
consegnato il terremoto? In Abruzzo non sono crollate solo le Cupole
delle chiese, o i presepi di montagna. È crollato lo Stato. Non un
edificio che lo rappresenti stava in piedi: Comune, Provincia,
Regione, prefettura, catasto, casa dello studente, ospedale. Non c'è
un simbolo della religione civile della modernità in piedi.
Lo Stato è arrivato col
governo Berlusconi, con Napolitano, con la protezione civile. Lo
scarto di azione tra gli enti locali è il governo è stato
clamoroso. È emersa, in Abruzzo, l'assenza di una politica, sotto
le macerie. Di più. È emersa una politica miope e colpevole.
La traccia del ragionamento l'ha
fornita, nella sua intensa visita a pochi giorni dal dramma, Giorgio
Napolitano. Nel parlare del "dopo" e dell'"altro dopo" -
che poi sarebbe l'oggi - il capo dello Stato ha rivolto un monito
duro, durissimo a tutta la classe politica: "Deve esserci un esame
di coscienza che non conosca coloriture politiche". Di fronte al
crollo di una città e a quello dello Stato abruzzese suona come una
severa accusa: "Un esponente dell'opposizione ha detto che
nessuno è senza colpa. In questo, credo avesse ragione. Si tratta di
capire perché le norme di legge non sono state attuate, per difetto
di controlli e per irresponsabilità diffuse"
Tutti colpevoli, dunque. La
memoria torna alle parole di Pertini dopo l'Irpinia. All'Aquila,
in Abruzzo, il "dopo", a un anno dal sisma, non è immaginabile
senza una profonda operazione verità sul recente passato. L'esame
di coscienza non c'è stato. Questo terremoto è stato l'8
settembre di una classe dirigente. Il re non scappa a Pescara, ma
tutta la classe politica balbetta. E fugge dalle sue responsabilità.
La magistratura farà le inchieste.
Ma la politica deve, deve,
promuovere una operazione verità. Quella chiesta dal capo dello
Stato. Invece sta facendo vergognosa, un'amnistia mascherata,
all'insegna del "tutti coinvolti, tutti assolti". C'è per
caso una contrapposizione destra, centro sinistra sui crolli? No,
perché la paura è bipartisan. Si tace in modo omertoso. Io non
credo alla storia scritta dai giudici e non credo che i giudici,
nell'assenza di uno spirito pubblico consapevole, si assumano la
responsabilità di andare fino in fondo.
La politica risponda. Sul "perché"
- anche all'Aquila - il mito del mattone si è congiunto con
quello delle mani libere da regole; o sul perché la direzione dei
lavori di un ospedale la cui costruzione è durata trent'anni ha
forse risposto più alle ditte succedutesi nel valzer degli appalti
che al committente (e qui se volete avrei molti da dire, querela); o
sul perché a Pettino si è costruito su una faglia sismica; o sul
perché tutti sapevano che la casa dello studente poteva essere una
tomba e nessuno parlava.
O sul perché il rapporto di
Franco Barberi, capo della protezione civile alla fine degli anni
'90, sia rimasto lettera morta, come ha denunciato Iacona: avete
visto il balbettio di Tempesta, Pace? E non solo loro. Sul perché
non c'è stata prevenzione. Diciamoci la verità. Come mostrano i
dati dei soldi stanziati sulla protezione civile, sul bilancio del
Comune e della Regione.
Il ragionamento che si è fatto in
questi anni è stato questo: mettiamo i soldi sulle strade, tanto non
succede niente. E così di fronte alle catastrofi più che la
prevenzione c'è il Padreterno, per chi ci crede.
Su tutto questo forse ci saranno
risposte. Ma il punto è: secondo voi si ricostruisce una comunità
solo col calcestruzzo o pure con la verità? Chiedo ai politici
locali: con che cosa lo impastiamo questo calcestruzzo? Io ho la
sensazione che la colla siano, ancora, le menzogne. Io ho la
sensazione che un anno dopo Napolitano potrebbe ripetere le stesse
parole di un anno fa. E questo è il primo punto.
2) E qui veniamo al secondo punto.
È difficile su queste basi, che ci possa essere un'idea di città,
che infatti non c'è. Mi è venuto un brivido lungo la schiena
quando ho visto il sindaco a Porta a Porta, a un anno dal sisma.
Quando a domanda di Vespa: "Ce l'ha un'idea di città?" ha
risposto: "Me la sto facendo". Ora? Un anno dopo. Anzi dopo un
anno in cui ha detto di tutto? Vi ricordate quando annunciò che
avrebbe portato Fuksas e architetti famosi in una intervista in cui
rimpiangeva i tramonti a vicolo san Martino?
Poi la compiacenza al governo, poi
le carriole.... Poi a Porta a porta ha promesso che in sei mesi si
accederà a Santa Maria di Roio. Ne mancano quattro... e la zona
rossa è un'incognita.... Uno spettacolo francamente indecente.
La verità è che il sindaco un'idea collettiva di città non ce
l'ha. Ma in questi mesi si è mosso, eccome, per fare alcune
operazioni che gli stavano a cuore. Lì invece aveva le idee chiare.
Poiché chi governa non ha un'idea
di città, oggi il dibattito è tra chi rivuole l'Aquila com'era,
dov'era (curia, intellettuali, cittadini) e alcuni intellettuali
come Alessadro Clementi, Giancarlo De Amicis e Walter Cavalieri che
vogliono trasformare la ricostruzione in una rifondazione con
pensieri innovativi. È questa la via, trasformare una sventura in
una opportunità. Ma la rifondazione la politica non l'ha ancora
pensata. Perché?
Perché non aveva le idee chiare
prima. Il punto è che il "dopo" non si vede oggi perché non si
vedeva nemmeno il prima. Il ciclo politico di Remo Gaspari basato
sulla dilatazione del deficit e l'elefantiasi della pubblica
amministrazione ha rappresentato un keynesismo clientelare che ha
tenuto l'economia e garantito alla Dc una riserva di voti. Non era
una mission, era la degenerazione della questione meridionale.
Con l'ingresso in Europa non
poteva tenere. Chi è venuto dopo però - il centrosinistra guidato
da Falconio (1995-2000), il centrodestra guidato da Giovanni Pace
(2000-2005), poi Del Turco e Giovanni Chiodi - non ha avuto la
capacità di tracciare una missione per l'Abruzzo. Del Turco ci ha
provato, e le lobby sanitarie lo hanno fatto fuori. La politica si è
piegata alle lobby e nessuno ha spiegato il ruolo che doveva assumere
l'Abruzzo, nel Mezzogiorno e nell'Italia di oggi.
Lo stesso vale per il Comune
dell'Aquila, molto poco europeo e più vicino a quel paese della
Basilicata che uno studioso analizzò per mettere a punto la
categoria del familismo amorale, dove attorno a tanti progetti delle
meraviglie la classe politica si è accapigliata attorno agli affari
più che a un'idea di città. E in questi anni non si è capito
quale fosse la missione dell'Aquila.
Dismesso il polo elettronico e il
suo tessuto industriale, e in assenza di una politica del turismo,
L'Aquila non ha investito sulla sua vocazione universitaria. Metà
dei morti nelle case del centro sono studenti, l'ottanta per cento
dell'Ateneo è a terra. E la città - che doveva essere
universitaria - registra il fallimento della sua prima azienda,
l'Università appunto.
Al primo consiglio di
amministrazione ....... Nomina dottori di ricerca, il sisma solo al
terzo punto all'ordine del giorno. Ora qualcuno sogna le tute blu
mentre nessuno investe su una moderna Harward, e dire che la Gelmini
su questo aveva le idee chiare. Questa è la mission. A vedere i dati
della Cassa integrazione. Edilizia, commercio..... Dramma sociale e
esodo silenzioso.
Guardate che l'Aquila prima del
sisma era una città morta in attesa di funerale. La città prima del
6 aprile era una città in piena crisi occupazionale, un'economia
di tipo parassitario, una città sciatta e mal tenuta, piena di opere
incompiute - a proposito la metropolitana prima osteggiata poi
appoggiata dalla sinistra chi la paga oggi? - una città con un
traffico congestionato, un corso mal illuminato, esercizi chiusi nei
giorni festivi, randagismo e vandalismo.
La mission, dunque non c'era
prima e non c'è oggi. E non c'erano, e non ci sono partiti
radicati nella società che abbiano provato a far diventare cittadini
europei gli abruzzesi passati così dal vassallaggio a Gaspari a
quello imposto oggi. Il terremoto ha solo squarciato il velo sul
fallimento della classe dirigente. E le reazioni a caldo di sindaco,
del presidente della Regione, sono davvero da "senza vergogna".
Il sindaco Massimo Cialente, che
una volta flirtava quasi con Rifondazione si è messo sotto
l'ombrello di Berlusconi: "Nessun imbarazzo - ha detto al
Messaggero - a collaborare col Pdl. Condivido l'approccio del
premier e del ministro delle Finanze che si basa sull'idea che la
ricostruzione del tessuto umano e di quello economico devono
procedere insieme". Erano i tempi del "Caro Gianni" e "caro
Giulio".
Oggi è in piazza contro Giulio.
Lolli definì Berlusconi un "genio" in un'intervista a Luca
Telese, mentre il figlio capitanava la rivolta del comitato 3 e 32.
Aplomb istituzionale, forse. Poi in piazza a Montecitorio con la Fiom
e i Cobas, Cremaschi e Bernocchi - gente che non sa neanche dove
sta l'Aquila - contro Tremonti. Mentre si perdeva tempo con i
professionisti della protesta Berlusconi ha fatto le case e vinto le
elezioni.
O forse il Comune, quando
partiranno le inchieste, è l'istituzione che dovrà dare più di
una risposta: sui controlli antisismici, sui soldi stanziati sulla
protezione civile. Quindi meglio non alzare polveroni. Pure il
presidente della Regione Chiodi, è fuggito su Marte: "Se lo avessi
saputo, non mi sarei candidato" ha detto a Libero.
Al momento
della responsabilità arriva il peggio. Comportamenti opachi.
Purtroppo la logica della cricca che si annidano sotto nobili
bandiere, della sinistra, per chi ci crede.
- All'articolo 4 del decreto
Abruzzo, il dl 39 il sindaco fece inserire tra gli enti a totale
carico dello Stato, da recuperare con intervento diretto e immediato
sapete cosa? L'Accademia dell'immagine di cui nel momento in cui
chiede l'inserimento Cialente è presidente e il suo Assessore alla
Cultura Ximenes direttore. Ebbene l'Accademia fu considerata
priorità come i principali Enti ecclesiastici e le principali
strutture dello Stato, neanche avesse prodotto la Gioconda di
Leonardo. Altro che conflitto di interessi. Se lo avesse fatto
Berlusconi, il sindaco avrebbe fatto i girotondi.
- Poi c'è la vicenda dei
rifiuti. Cialente, allora commissario del centro storico, affida -
senza gara - un appalto di 80 milioni di euro (cifra ricostruita
dai giornali sulla base dei metri cubi) a una ditta che non risulta
iscritta all'albo e quindi non può agire. Nelle polemiche salta
tutto. Domando: è dilettantismo, distrazione oppure siamo di fronte
a una gestione opaca della cosa pubblica?
- dei giorni scorsi è la vicenda
dei MaR, moduli abitativi removibili. Un appalto di 40 milioni di
euro. Viene ritirato dopo la protesta di alcuni consiglieri. Anche
qui la gestione è opaca. Un imprenditore (Palmerini), tra gli altri,
partecipa all'appalto con una terra che secondo il Piano stralcio
difesa alluvioni è a rischio esondazioni. E tra i requisiti del
bando c'è un maggior punteggio per chi ha un terreno con
destinazione d'usa camping.
Poi non è stato attribuito il
punteggio. Guarda caso l'imprenditore in questione ottiene questa
licenza di destinazione d'uso un giorno prima della presentazione
del bando. E guarda caso il tutto avviene in un momento di vacatio
del titolare della polizia, in una fase di interim che dura pochi
giorni, che si occupa di commercio, quindi camping. E il dirigente
preposto alla valutazione del terreno è un dirigente della polizia.
Mi risulta un accesso agli atti della procura. Molti parlamentari del
Pd in questi mesi mi hanno chiesto delucidazioni. Dicono: ma così
non se ne esce.
- Fin qui bibì cioè Cialente,
poi c'è bibò, cioè Chiodi. Rischia di essere un caso nazionale
alla Camera dei deputati. Chiodi al momento della sua elezione
annunciò "guerra contro le lobby possenti e antiche che si oppongo
al cambiamento". E quando Bertolaso gli passò il testimone di
commissario straordinario garantì - ricordo un'intervista fatta
a me - "trasparenza, appalti, regole chiare".
Ebbene pochi giorni fa anche
Chiodi è stato protagonista di un episodio opaco: i soldi
provenienti dallo svincolo dei Docup, destinati al terremoto - 16
milioni di euro - e i quasi sette milioni dell'assicurazione di
palazzo Centi sono stati stanziati come mance post elettorali per
appagare la fame del tramano e del pescarese (aeroporto di Pescara e
i debiti dall'87 al 2002 dell'Arpa e di tutto). Poi
fortunatamente la delibera è stata ritirata.
- E se bibì e bibò si occupano
di tutto tranne che della grande politica, un altro dato lo considero
inquietante. Perché per la guida della Struttura tecnica di missione
(che ha preso il posto della protezione civile) si è scelta una
figura certo di altro profilo, ma certo di un profilo caratterizzato
come l'architetto Fontana, ex direttore generale dell'Ance
Italia, l'associazione costruttori.
Per carità, nessuno discute la
competenza. In un paese normale si sarebbe data ad alti funzionari
dello Stato, il più lontani possibili, anche per formazione dalle
lobby. Qui no. Ce di più. Gli organi di direzione politica sono
commissariati. Il consiglio comunale è commissariato, non partecipa
al processo di adozione e di approvazione dei provvedimenti di
ricostruzione della città.
E quindi: Fontana li predispone,
Cialente li firma, Chiodi concorda. Poi chi deve recitare la parte
che è di sinistra, come Cialente, mentre con una mano firma, con
l'altra aizza le carriole. Da un lato promette a Porta a porta che
tra sei mesi si passeggerà a San Silvestro, dall'altro manca
l'ordinanza sul centro e le linee guida di Fontana lo rimandano di
un anno. Città in mano alle lobby, con l'opaca compiacenza della
politica.
Questo quadro sta facendo
riprendere fiato alle vecchie logiche di conservazione. O logiche da
cricca. O qualcuno vuole dire che questa non è una logica da cricca?
Tra un po' aprirò il capitolo di come Stefania perde le elezioni
perché sull'Aquila il plebiscito non c'è stato e paga le
responsabilità di Cialente.
Prima voglio dire, da giornalista
da aquilano e da riformista che una sinistra così neanche in Uganda.
Diceva un grande intellettuale come Federico Caffè che un riformista
non è di un sistema né l'apologeta né il becchino. Ma uno che
identifica il cambiamento possibile. Ebbene dico: basta apologie e
becchini. Berlusconi è stato bravissimo ed è demenziale continuare
a dire che si doveva fare come in Umbria, visto che il sisma è
quattro volte l'Umbria.
Ma non si può continuare a
tessere le lodi di come è stata gestita l'emergenza senza pensare
al domani. E basta becchini. Come la Guzzanti. A un comico che non fa
ridere - ma che fa soldi sulle disgrazie - contesto l'assunto
di fondo: nell'emergenza manca la democrazia. Propaganda. La
democrazia non è nei pronti soccorsi, non è quando agiscono le
forze dell'ordine, non è nell'emergenza.
3) Siamo all'inadeguatezza della
sinistra. La sensazione è che il modello Friuli in Abruzzo non sia
applicabile. Lì - lo ha ricordato l'ex presidente Biasutti sul
Riformista - la ricostruzione avvenne su una linea chiara: prima le
fabbriche, poi le case, poi le chiese. La missione c'era dopo il
terremoto, perché c'era prima. E c'era una classe dirigente
capace di portarla avanti, a partire dal presidente della regione e
dai cento comuni che guidarono i progetti di ricostruzione.
In Abruzzo il modello è
inapplicabile. Quando il governo stanzia i soldi per la
ricostruzione, ma la politica locale, a differenza del Friuli, non ha
indicato la rotta. Si batte cassa ma senza rotta. Mi colpì una cosa
ai tempi del decreto Abruzzo. Al Senato Marini, Lolli, Legnini si
impuntarono su un fatto: vollero un articolo che prevedeva che la
ricostruzione sul lungo periodo - nel medio il progetto case era
governativo - fosse gestita dagli enti locali. Via il governo
dunque. Perché?
Secondo me è stato un errore
strategico. Così come è stato sbagliato archiviare il capitolo new
town banalizzando: "L'Aquila diventa pompei e attorno un insieme
di palazzine". No, la new town è un progetto di ricostruzione. Non
di emergenza come è stato. È una città nuova. Si è privilegiato
la ricostruzione dell'esistente. Io dico: comunque va fatta una
città nuova: servizi, case sicure, trasporti, uffici da migliorare,
nuova concezione dei luoghi pubblici, una città più avanzata.
Guardate che il terremoto non è
come la guerra, che spinge verso il com'era, dov'era. Dresda. La
guerra è legata al fattore umano, il terremoto ha in sé un elemento
di imprevedibilità nel suo ripetersi nel tempo. Il coraggio è
mancato e pure le idee.
E così c'è una new town
dell'emergenza e basta. L'assenza di riformismo ha portato anche
a una estinzione della sinistra. È chiaro che Stefania perde a causa
anche delle opacità. Ma c'è di più. Con le amministrative si
chiude un ciclo iniziato con il caso Del Turco. una sinistra non di
governo è buona per essere messa su una carriola e rottamata.
Giustizialismo e mancanza di progetti sulla ricostruzione hanno fatto
perdere la sinistra riducendo il suo blocco sociale.
Su del Turco la linea fu: rispetto
per la magistratura disse Tenaglia, ministro ombra e forse portavoce
dell'Anm. Ora che dalla "valanga di prove" abbiamo "una
valanga di proroghe delle indagini" chiedo: perché uno di sinistra
deve rispettare Trifuoggi? L'altro giorno il vicecapogruppo al
Senato Nicola Latorre ha detto: "Su Del Turco abbiamo sbagliato".
Secondo me Ottaviano la ricostruzione l'avrebbe gestita meglio. Tra
due anni si vota per il comune. Cialente andrà a casa. E faremo un
convegno sul fatto che oggi è mancato il coraggio.
8 luglio 2010
Da Marina Rossi pagine 70 Il terremoto in Friuli
La differenza la fece credo io l'essere uniti e coesi e la fece la politica locale, i sindaci, gli enti locali. Come eravamo direi e come siamo, una riflessione si imporrebbe. Leggetevi cosa scrive Marina Rossi del Friuli, ed Aquilani, svegliatevi!!
Lo spettacolo che si è
presentato ai primi soccorritori è stato agghiacciante.
Le auto e le ambulanze dei soccorritori che stanno percorrendo la
Pontebbana verso i paesi colpiti s'imbattono in una fitta cortina di
polvere che fa comprendere da subito la gravità dell'accaduto. Altri,
accorsi in aiuto, fuori dell'abitato di Gemona incontrano i primi
sopravvissuti che si trascinano a stento, sotto shock, laceri e
inebetiti. Qualcuno sta tentando di portare i feriti nei più vicini
ospedali. Quelli che sono riusciti a sfuggire ai crolli, sconvolti, si
sono raggruppati negli slarghi e nelle campagne circostanti e hanno
acceso dei fuochi aspettando che la notte passi. Altri si sono
rifugiati nelle auto. Si levano nella notte le grida, i pianti, i
lamenti di coloro che sono rimasti seppelliti sotto le macerie. Tanti
stanno cercando di spostare i calcinacci per cercare di salvarli. Quello
che si presenta agli occhi di tutti al levarsi del sole è un paesaggio
di morte e distruzione. Paesi completamente rasi al suolo, moltissime
case inagibili, continuano gl'incendi ed i crolli sotto la spinta delle
scosse di assestamento. Ora, cordoni di militari e agenti cercano di
tenere lontani gli abitanti. Si scava febbrilmente per cercare di
salvare le migliaia di persone sepolte vive. Circa 200 bambini hanno
perso i genitori e sono raccolti dalla Croce Rossa. Saltate le linee
elettriche e telefoniche, scoppiate le fognature. La notte del 6 maggio è
stata la prima di molte notti all'aperto per i friulani. Le scosse
dureranno fino al settembre successivo.
Nei giorni seguenti mentre arrivano da tutta Italia i soccorsi. Si fa un
primo bilancio del catastrofico evento.
L'ospedale di Tolmezzo è lesionato, è inagibile il sesto piano. Tra San
Daniele del Friuli e Maiano sono crollati un centinaio di edifici, tra
questi, tre condomini di sette e otto piani. A Rivoli, una frazione di
Osoppo, degli operai che stavano lavorando nel turno serale alla
fonderia, sono rimasti sotto le macerie. Moggio Udinese che sorgeva
sotto il Monte Amariana sembrerebbe addirittura raso al suolo. Anche in
provincia di Pordenone nei comuni di Vito D'asio, Arduins e Pinzano
numerosi i crolli con centinaia di morti e feriti. Vicino al bivio di
Magnano, un albergo costruito solo pochi anni prima è raso al suolo. A
Pordenone la scossa è stata avvertita con forte intensità. Scene di
panico tra la popolazione scesa in strada. Nella chiesa di San Giorgio
dove si stava svolgendo una funzione a cui assistevano in maggioranza
bambini, al cadere dei primi calcinacci sono tutti fuggiti in strada. Le
campane sotto le vibrazioni del sisma hanno cominciato a rintoccare in
modo sinistro. Al momento del terremoto il treno Vienna-Roma deviato su
un binario minore per un guasto ad uno scambio alla stazione di
Tarcento, si trovava a viaggiare a soli 40 Km orari invece dei normali
120. Questo ha fatto sì, che per puro caso si sia evitata un'ulteriore
catastrofe, il treno trasportava circa 500 passeggeri e a causa delle
forti scosse è deragliato. A Colloredo di Montalbano, hanno ceduto le
torri del famoso castello in cui Ippolito Nievo scrisse le Confessioni.
Gravissimi i danni al patrimonio storico e architettonico.
Mai come in questa occasione si potè conoscere il carattere forte e la
grande dignità del popolo friulano, al di là del grande dolore per la
perdita di tutto, solo dopo pochi giorni dalla catastrofe, mentre ancora
si cercavano sopravvissuti sotto le macerie e si dava sepoltura ai
morti, già si pensava alla ricostruzione. Si rimuovevano calcinacci, si
sgombravano strade, ci si occupava addirittura dei campi. Un popolo
abituato da sempre alle calamità, pensava a rimettere a posto quel che
si può: "di bessoi", cioè da sé, da soli. Non per sfiducia verso la
solidarietà degli altri, ma per una radicata dignità che non lascia
spazio ai piagnistei. I danni alle industrie presenti sul territorio
provocheranno 5.000 disoccupati. Le prefetture di Udine e Pordenone si
trasformano in basi operative per coordinare gli interventi. Il 7
maggio si fa una stima delle perdite in vite umane, sarebbero accertati
fino ad allora: 584 morti e quasi mille i feriti. Il presidente della
Repubblica Leone fa visita alle popolazioni ed ascolta commosso i
racconti dei sopravvissuti. Anche il ministro degli interni Cossiga con
il ministro dell'istruzione Malfatti si recano sul posto. Nelson
Rockefeller, vicepresidente degli Stati Uniti, dopo la visita ai paesi
disastrati annuncia lo stanziamento di 21 miliardi per aiutare le
popolazioni colpite. L'8 maggio si reca in visita il Presidente del
Consiglio On. Moro insieme al Commissario Straordinario del Governo
Zamberletti. Tornano i friulani emigrati: dalla Svizzera dall'Austria,
dal Belgio, Germania e Francia. Tutti per ricostruire il Friuli
devastato. Dopo soli pochi giorni la macchina della solidarietà è già in
movimento. A fianco dei nostri soldati anche militari austriaci,
canadesi, tedeschi, americani, francesi hanno già montato 1.450 tende.
Dall'estero arrivano numerosi aiuti. Per via aerea giungono 6.000 tende.
Ospedali da campo, cucine militari, materiali e generi di conforto sono
scaricati dalle navi attraccate nel porto di Trieste. Si spargono
disinfettanti per evitare epidemie, la temperatura si aggira intorno ai
34 gradi e molte salme sono ancora insepolte. Quattro giovani vengono
colti a compiere atti di sciacallaggio. Vengono processati sul posto e
condannati in modo esemplare.
Visita le zone colpite il presidente di
Confindustria Agnelli che decreta: "Prima le aziende e poi le case" .
Sottolineando come sia urgente soprattutto il riassetto industriale
della regione. Il 13 maggio il tempo diventa inclemente.
I Friulani
sotto le tendopoli, incredibilmente istallate sotto il livello del
suolo, si ritrovano con l'acqua alle caviglie. Il vento che soffia a 90
km orari porta via numerose tende. Tarvisio viene investita da una
nevicata.
Si pensa all'inverno successivo e quello che sarà quando la
neve e i primi freddi faranno la loro comparsa di lì a pochi mesi. I
friulani si oppongono alle demolizioni indiscriminate e vogliono
recuperare quello che è possibile, per ricostruire più in fretta
possibile. Vengono stanziati dalla Commissione Bilancio del Senato, 400
miliardi da erogare in vent'anni. Iniziano le inchieste sui crolli delle
abitazioni più recenti. Il rumore delle ruspe è incessante, si scava
nella speranza di trovare superstiti. Il 19 maggio il bilancio dei morti
sale a 926. La pioggia rende impraticabili le strade di montagna e
alcuni paesi sono isolati. L'opera di ricostruzione prosegue incessante,
si pensa alla ripresa industriale, al turismo, Il consorzio pedemontano
per l'Alto Friuli presenta un piano di ripresa industriale per le
aziende di Rivoli di Osoppo. Anche nelle località turistiche tutto
dovrebbe tornare a funzionare a pieno ritmo visto l'arrivo imminente
dell'estate. È evidente la voglia di risollevarsi presto, di avere un
incentivo per ricominciare. L'11 settembre la terra trema di nuovo: due
scosse alle 18:31 e alle 18:40 superano 7,5 e 8 gradi della scala
Mercalli. A Gemona crolla gran parte del centro storico che aveva
resistito alle scosse di quattro mesi prima. Seguono altre 11 scosse, di
nuovo crolli feriti, e il terrore della gente. Nei giorni seguenti
altre scosse tra il sesto e decimo grado. Si presenta di nuovo
l'emergenza. Il governo stanzia 160 miliardi che saranno reperiti
dall'aumento sulle tasse dei veicoli e l'aumento di 50 £. Sulla schedina
del totocalcio. È data ampia delega al commissario Zamberletti per
l'assistenza ai terremotati.
Fondamentale, nel terremoto del Friuli Venezia Giulia fu la
mobilitazione dei radioamatori che coordinarono le comunicazioni tra le
varie prefetture e svolsero in tempo reale compiti di coordinamento
degli aiuti. Fu proprio la tragica esperienza del terremoto del Friuli
che si cominciò a parlare di emergenza. E proprio il termine "EMERGENZA"
divenne di uso corrente nei termini di: "dichiarazione di stato di
emergenza" che facesse scattare l'immediato intervento del Dipartimento
di Protezione Civile. Molti scienziati levarono la loro voce a proposito
del terremoto con pareri spesso discordanti, a volte catastrofici a
volte minimizzanti. Ci si chiese se si fosse potuto evitare la
catastrofe. E per questa realtà si reputò necessario affiancare al
Dipartimento della Protezione Civile il sostegno scientifico. Si istituì
così il "Comitato Grandi Rischi" che supportò il lavoro della
Protezione Civile con la prevenzione e lo studio degli eventi.
"Secondo l'Osservatorio Geofisico di Trieste
- la prima scossa del terremoto fu avvertita alle 20.59 con un'intensità
4,9 della scala Richter.
- un minuto dopo, alle 21.00 fu avvertita un'altra scossa anche più
forte della precedente.
- altre scosse, più deboli, furono registrate alle 21.09 e alle 21.12.
- alle 21.25 fu registrata una scossa d'intensità 4,2 della scala
Richter.
- Dopo questa prima serie di cinque scosse, si ebbe una seconda serie di
tre scosse alle 22.07 (4,2 scala Richter), alle 22.42 (4,1 scala
Richter) e alle 22.49 (4,6 scala Richter)."
Il bilancio del terremoto del 1976 in Friuli Venezia Giulia:
Area colpita: 5.725 km quadrati
Comuni colpiti: 137
Popolazione coinvolta: 600.000 persone
Numero dei morti: 1.000
Numero dei bambini non nati: 20
Bambini che hanno perso i genitori:circa 200
I senzatetto:70.000
Per danni alle industrie:5.000 disoccupati
I danni ammonterebbero ai mille miliardi di lire.
Il 7 maggio all'ospedale di Udine viene alla luce la prima nata dopo il
terremoto: si chiama Donatella ed è figlia di una coppia di Maiano, uno
dei centri più colpiti.
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