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Marista
HomeArticoli Articolo di Napolitano per l'Unit? del 1974
Riprendo da articolo di Fausto Cairoti l'antefatto su cacciata dello scrittore Solzhenitsyn dalla Russia
Il 6 febbraio, infatti, la segreteria del Pci aveva adottato all’unanimità e
inviato al Pcus una nota scritta proprio dal responsabile della commissione
cultura. In essa, come ha ricordato Silvio Pons, direttore della Fondazione
Istituto Gramsci, «il Pci riconosceva la fondatezza delle accuse politiche mosse
a Solzhenitsyn dal regime, ma rifiutava di giustificare i metodi di persecuzione
giudiziaria, che considerava sbagliati per gli appigli che fornivano agli
avversari». Una presa di distanza, dunque, anche se pelosa, dalla decisione che
stava per prendere il Cremlino. Ma il 18 febbraio il Pcus risponde al Pci:
Solzhenitsyn ha «imboccato la via del tradimento» e l’esilio deve essere
considerato un trattamento di favore. Quindi “invita” i «partiti fratelli», cioè
quelli che finanziava e sui quali comandava, ad adeguarsi. Napolitano si adegua
subito e, ispirato dai “consigli” dei compagni sovietici, verga l’articolo che
uscirà due giorni dopo sull’Unità e sarà ripubblicato il 24 febbraio da
Rinascita
Ecco il testo integrale dell'articolo apparso il 20 febbraio del 1974
sull'Unità, nel quale Giorgio Napolitano spiegava perché la cacciata di
Aleksandr Solzhenitsyn dall'Urss fosse la «soluzione migliore» che il
partito comunista sovietico potesse adottare.
Lo pubblico senza alcun commento né taglio né aggiunta. ( Fausto Cairoti).
Personalmente ho ripreso il tutto dal sito Il legnostorto.com. Buona lettura
L’ESPERIENZA SOVIETICA
E LA NOSTRA PROSPETTIVA
ANCORA SUL
«CASO SOLGENITSYN»
Pubblichiamo
questo articolo del compagno Giorgio Napolitano, membro della Direzione
del PCI e responsabile della Commissione culturale, che comparirà sul
prossimo numero di «Rinascita».
Anche se il clamore
suscitato dall’arresto di Solgenitsyn è venuto calando, dopo la
decisione delle autorità sovietiche di privarlo della cittadinanza e dì
espellerlo dall’URSS; anche se alcuni giornali sono rapidamente passati
dai toni declamatori e drammatici a quelli, bonari e fatui, delle
curiosità sullo «shopping» di Solgenitsyn per le vie di Zurigo o sulle
cospicue somme da lui accumulate, grazie ai diritti d’autore, nelle
banche svizzere, nessuno più di noi sente la necessità di ritornare sui
problemi che il grave caso dello scrittore sovietico ha posto e pone.
E’ proprio a noi che tocca compiere uno sforzo di riflessione seria e
oggettiva, visto che da tante altre parti, anche e in particolare nel
nostro paese, ci si è, nei giorni scorsi, preoccupati essenzialmente di
alzare il solito polverone propagandistico, di sfruttare l’occasione
per una polemica a buon mercato sull’URSS, sul comunismo e perfino (si
pensi a quel che hanno farfugliato i giornali del PRI e della DC) sul
PCI.
Non è facile, certo, vogliamo dirlo, superare il senso di
fastidio politico e morale che hanno sollevato in ciascuno di noi
questa scoperta strumentalizzazione del caso Solgenitsyn, questa
dilatazione acritica e forsennata — da parte di alcuni — di una vicenda
indubbiamente significativa e preoccupante ma non tale da giustificare
la scelta di chi le ha dato, nelle trasmissioni del telegiornale, la
precedenza su ogni altro avvenimento internazionale e nazionale, questo
cieco rilancio in certi casi — delle immagini più fosche della
propaganda antisovietica. Ma questo legittimo senso di fastidio non ci
impedisce di entrare nel vivo dei problemi reali a cui il caso
Solgenitsyn ci richiama: anche se dopo aver ristabilito alcune
indiscutibili verità.
Il punto di rottura
La prima di
queste verità — che va decisamente ribadita, dinanzi alla
contrapposizione di comodo tra «mondo comunista» e «mondo libero» — è
quella relativa non solo ai pesanti condizionamenti oggettivi che la
struttura economico-sociale capitalistica e la crescente concentrazione
monopolistica fanno gravare sull’esercizio della libertà di
espressione, ma anche ai limiti che lo stesso riconoscimento formale di
questa libertà tuttora presenta in Italia. Lelio Basso — in un articolo
pure apertamente critico nei confronti, dell’URSS — ha giustamente
reagito all’esaltazione — da chiunque venga, anche da Sacharov — della
«libertà occidentale», ricordando come il capitalismo e l’imperialismo
tendano a ridurre l’uomo a semplice congegno di una macchina disumana e
a manipolarne la coscienza. «Chi crede nei supremi valori di
spiritualità e di libertà» — diciamo perciò all'on. Piccoli — ha molto
da fare innanzitutto nel proprio paese, in Italia, contro le
degenerazioni provocate dallo sviluppo monopolistico e dal sistema di
potere della DC nei rapporti sociali ed umani e nel costume, contro gli
arbitri padronali, contro gli abusi polizieschi e giudiziari, contro la
sopravvivenza di norme giuridiche fasciste che colpiscono, come
«vilipendio» delle istituzioni, i reati di opinione.
E l’altra
verità da ristabilire è quella relativa al punto cui era giunto il
rapporto tra Solgenitsyn e Io Stato sovietico. Nessuno può negare che
lo scrittore (come d’altronde si ammetteva tra le righe degli stessi
articoli scritti nei giorni scorsi per esaltarlo) avesse finito per
assumere un atteggiamento di «sfida» allo Stato sovietico e alle sue
leggi, di totale contrapposizione, anche nella pratica, alle
istituzioni, che egli non solo criticava ma si rifiutava ormai di
riconoscere in qualsiasi modo. Non c’è dubbio che questo atteggiamento
— al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi
politici — di Solgenitsyn, avesse suscitato larghissima riprovazione
nell'URSS.
Che questa ormai aperta, estrema «incompatibilità»
sia stata sciolta dalle autorità sovietiche non con un’incriminazione
di Solgenitsyn, ma con la sua espulsione, può essere considerato più o
meno «positivo»; qualcuno può giudicarla obiettivamente, come l’ha
giudicata, la «soluzione migliore», senza peraltro sottovalutarne — e,
per quel che ci riguarda noi certo non ne sottovalutiamo — la natura di
grave misura restrittiva dei diritti individuali; ma solo commentatori
faziosi e sciocchi possono prescindere dal punto di rottura cui
Solgenitsyn aveva portato la situazione e possono, a proposito
dell’esito cui si è giunti, evocare lo spettro dello stalinismo. Tutto
quel che è accaduto — la vicenda di Solgenitsyn e il suo epilogo —
sarebbe stato impensabile nei periodi più duri della storia sovietica.
Il
problema reale non è quello di un presunto «ritorno allo stalinismo»,
ma quello, ci sembra, di come potevano essere intese e portate avanti
la correzione e la svolta del XX Congresso del PCUS, al dì là della
denuncia delle massicce repressioni e del superamento delle illegalità
del periodo staliniano (che è il punto su cui in questo momento
insistono i dirigenti sovietici, respingendo fermamente l’accusa di una
qualsiasi sopravvivenza di quelle illegalità). Fin dove si è arrivati,
nel necessario sforzo di arricchimento e sviluppo della democrazia
socialista di articolazione nuova così come esigeva la stessa crescita
della società sovietica — della vita sociale, politica e culturale, di
avvio di un più largo e aperto confronto e dibattito su tutti i
terreni, anche in relazione al progredire — grazie all’URSS, in primo
luogo — della distensione internazionale e all’infittirsi delle
relazioni e degli scambi tra l’URSS e il mondo capitalistico? Di
sviluppi di queste direzioni certamente ce ne sono stati, come dimostra
l’ulteriore, forte progresso economico, scientifico, tecnico e
culturale dell’URSS, che senza di essi non sarebbe stato possibile
negli ultimi anni; ma sono anche emersi nodi assai resistenti e
difficili a sciogliersi. Si tratta di concezioni dell’unità (del
partito e della società sovietica) e della lotta contro le posizioni
ideologiche e politiche considerate spurie o nemiche, e insieme di
rapporti (tra partito, Stato e società, tra ideologia, politica, e
cultura), che affondano le loro radici in una storia intensa e
drammatica e che non è facile prevedere come possano modificarsi.
Ma
nessun contributo danno al positivo scioglimento di questi difficili
nodi le rappresentazioni unilaterali e tendenziose della realtà
dell’URSS, le accuse arbitrarie, i tentativi di negare l’immensa
portata liberatrice della Rivoluzione d’ottobre, lo straordinario
bilancio di trasformazioni e di successi del regime socialista, tutto
quel che di nuovo sì è delineato nella vita sovietica a partire dal XX
Congresso del PCUS. E’ questa negazione, fattasi via via sempre più
cieca, che ha segnato la condanna di un’opera come quella di
Solgenitsyn, che pure aveva preso le mosse da una giusta battaglia di
rottura col passato staliniano. Non possono, più in generale, inserirsi
in una ricerca onesta e fruttuosa le tendenze, che sull’onda
dell’ultimo libro di Solgenitsyn si vanno diffondendo, ad attribuire
sommariamente a Lenin la responsabilità delle deformazioni e dei guasti
della politica staliniana e a cancellare così — insieme con le
specificità dell’uno e dell’altro periodo storico (che noi crediamo
vadano sottolineate pur senza ignorare gli elementi di continuità che
li legano) — il senso stesso del XX Congresso. Del tutto fuorvianti,
infine — oltre che manifestamente contrarie agli interessi supremi
della pace — vanno considerate le posizioni dì quanti vorrebbero
«imporre» una «liberalizzazione» all’interno dell’URSS subordinando in
modo inammissibile Io sviluppo del processo di distensione a non si sa
quali mutamenti del regime politico e dell’ordinamento giuridico
sovietico.
E’ invece proprio dallo sviluppo del processo di
distensione, oltre che dall’ evoluzione del movimento comunista
internazionale, che può venire una spinta all’affermarsi di un clima di
maggiore tolleranza e di più aperto e fiducioso confronto, sul piano
ideale, culturale e politico, in seno ad organismi come l’Unione degli
scrittori — uno dei problemi che in questo momento vengono riproposti —
e nell’insieme della società sovietica. Già all’epoca in cui venne
rifiutata la pubblicazione di alcuni romanzi di Solgenitsyn, noi
esprimemmo non solo l’esigenza di un pieno riconoscimento della libertà
di espressione, ma la convinzione che la coscienza socialista e il
livello intellettuale e culturale delle grandi masse dei cittadini
sovietici, la coesione ideale e politica dei popoli sovietici
consentissero di andare con la più grande sicurezza a discussioni
pubbliche su opere e tendenze culturali ed artistiche — anche le più
criticabili — una volta che se ne fosse ammessa la circolazione
nell’URSS. Lo stesso metodo del confronto serrato, della discussione
argomentata, della critica persuasiva, può essere considerato
sufficiente garanzia ed arma efficace anche nei confronti di tesi
ideoLogiche e politiche che appaiano estranee agli indirizzi e agli
interessi del socialismo.
La scelta Reale
Ma non
presumiamo con ciò di indicare ad altri la strada da percorrere, e
tanto meno di suggerire facili regole di condotta. E’ solo dall’interno
del processo storico di sviluppo della società sovietica che potranno
scaturire soluzioni ai problemi che oggi risultano irrisolti. Una
strada noi non possiamo che indicarla a noi stessi: la strada da
percorrere per avanzare in Italia, nella democrazia e nella pace, verso
il socialismo. E’ per impedirci di procedere — conquistando ancora
nuove posizioni — su questa via, insieme con altre forze di sinistra e
democratiche, che si tenta di rilanciare l’antisovietismo e
l’anticomunismo, in un momento in cui i progressi verso un’effettiva
coesistenza pacifica si fanno più difficili e si moltiplicano le
manovre insidiose dell’imperialismo. Si cerca così di diffondere una
visione deforme dell’Unione Sovietica e insieme di negare l’originalità
della prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro paese
e dell’Europa occidentale. E invece più Si approfondisce — come da
parte nostra si sta facendo — lo studio obiettivo della storia
sovietica, più si comprende la peculiarità irripetibile di quella
grandiosa vicenda, con tutto il suo carico di trasformazioni
rivoluzionarie senza precedenti e di contraddizioni, e sempre meglio si
possono cogliere nel suo corso travagliato i momenti di svolta e le
radici degli sviluppi negativi. Il confronto con l’esperienza
sovietica, il modo stesso in cui è venuto crescendo e da decenni si
muove il PCI, la profonda diversità del contesto storico,
internazionale e nazionale, entro cui si colloca la nostra ricerca e la
nostra lotta in Italia, garantiscono la validità e verità della
prospettiva che noi indichiamo: quella di uno sviluppo verso il
socialismo che nasce dalle battaglie per difendere e portare avanti la
democrazia, quella di una società socialista riccamente articolata e
aperta ad ogni confronto. Non c’è nulla di più falso dell’alternativa,
che si tende a riproporre, tra un «comunismo» che arbitrariamente si
identifichi con il modello sovietico come «unico possibile», e un
regime di culto formale della «libertà». Si tratta invece di scegliere
oggi in Italia tra un estremo aggravarsi della crisi della società
nazionale — che è anche crisi delle forze che finora l’hanno diretta, e
dei valori che hanno presieduto al suo caotico sviluppo — e l’avvio di
un autentico, profondo processo di rinnovamento economico, sociale,
politico e ideale, il solo che possa rendere sicure le libertà
costituzionali e rimuovere gli ostacoli che ne impediscono Il concreto
esercizio. E’ questa la scelta reale che sta davanti a tutte le forze
democratiche e che per noi comunisti italiani fa tutt’uno con la
prospettiva del socialismo, quale lo concepiamo e lo vogliamo per il
nostro paese.
Giorgio Napolitano
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