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Francesca Lippi, "Contraddizione interna lorda. Prezzi e
benzina aumentano? Qualità della vita e benessere calano, ma il Pil cresce. In
tempi di crisi, gli esperti cominciano a criticare l'indicatore economico
tradizionale e a proporre delle alternative".
SP il giornale di San
Patrignano, pagina 30 e 32, n° 210 Aprile 2009
Il Pil scende
inesorabilmente e si inabisserà del 2,3 per cento nel corso del 2009, secondo
quanto pronosticato da Prometeia nel ‘Rapporto di previsione sulle prospettive
di breve-medio termine dell'economia internazionale e italiana'. Nel momento
peggiore della crisi e del credit crunch, il Prodotto interno lordo rientra fra
le ossessioni economiche dei Paesi occidentali e orientali, avanzati e in via
di sviluppo.
Ma a ben vedere
non è che i cittadini abbiamo mai posto troppa attenzione a questo benedetto (o
maledetto) Pil. Spesso, infatti, anche venendo tacciati di superficialità, gli
italiani se ne sono infischiati altamente, badando piuttosto all'aumento dei
prezzi e alla congruità e regolarità degli stipendi. Ora, però, anche i nostri
economisti cominciano a mostrarsi scettici, proponendo addirittura una ‘sostituzione'
del Pil. Con il dubbio che tale ripensamento dipenda dal tentativo di far
sembrare la situazione economica ‘meno peggio' di quanto è.
Il crimine
fattura
Sta di fatto che
molti esperti nel mondo sembrano d'accordo nel rispolverare un vecchio discorso
di Robert Kennedy, datato nel fatidico 1968, dove il mai eletto presidente definiva
il Prodotto interno lordo come inadeguato ad indicare il benessere delle nazioni.
Una posizione non tanto filo-hippy o neo-contestataria, quanto logica visto che
- spiegava Bobby - l'andamento del Pil è direttamente proporzionale a dati
negativi come criminalità, inquinamento, malattia e ignoranza: all'aumentare
dei costi di sanità e benzina, infatti, cresce beato, ma "non tiene conto della
salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia
dei loro momenti di svago".
D'altro canto
pare che gli antenati di questo indicatore economico risalgano niente meno che
al 1640, quando il governo di Oliver Cromwell cercò di sfrattare i cattolici
insurrezionisti in Irlanda a colpi di tasse, e cercò di misurare la ricchezza
terriera per distribuirla alle truppe inglesi. Ancora oggi, effettivamente, il
Prodotto Interno Lordo segna incrementi positivi all'aumentare delle tasse.
Lo spirito
kennediano è bene espresso da Mariano Bella. Il responsabile Ufficio studi di
Confcommercio evidenzia che "nessun economista ha mai affermato che il Pil sia
una misura di benessere" e afferma che i nuovi indicatori di ‘benessere' dovrebbero
tenere conto del tempo libero. Confcommercio, pur avvertendo che il
tradizionale indicatore "va tenuto sempre in grande considerazione", ne ha
elaborato un secondo, il Quoziente qualitativo di benessere: "Preliminare e
imperfetto, che integra informazioni sul reddito medio/Pil con misure relative
alle preferenze individuali, tenendo conto anche delle condizioni dei mercati
presso cui si approvvigionano i consumatori".
Un ragionamento
di questo tipo potrebbe rivoluzionare un'economia sempre meno ‘concreta': il Qqb
infatti, "è calcolato come rapporto tra la spesa per consumi più desiderabili e
quella per beni e servizi obbligati, come alimentazione di base, affitti,
energia elettrica, riscaldamento e altro". Dice insomma quanto, "per ogni euro
speso in consumi obbligati, è destinato a consumi liberi e preferiti".
Proposte europee
A livello europeo
si animano altre proposte. A fare da traino la Francia di Nicolas Sarkozy
con la sua nuova ‘Commissione sulla misurazione delle performance economiche e
del progresso sociale'. Presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, ne fanno
parte personaggi del calibro di Amartya Sen, Daniel Hahneman e Jean-Paul
Fitoussi. Quest'ultimo, autore di una vera e propria teoria della vita
quotidiana, spiega che "quando i prezzi degli affitti in centro aumentano, ciò
accresce il Pil. Ma si va a vivere in periferia, il tempo del pendolarismo
aumenta: è tempo perso che riduce il benessere, eppure più esso sale, più il
Pil aumenta ancora. Servono infatti più poliziotti agli incroci e più benzina
nel serbatoio".
La spiegazione è
chiara: gli aumenti del carburante a cui siamo andati incontro nell'anno
passato pesavano negativamente sulle nostre tasche, ma paradossalmente avevano
un effetto benefico per il Prodotto interno lordo, determinando dati
ottimistici per niente percepiti dalla gente comune.
Sempre sulla
linea del ‘paradosso' Jonathan Rowe, scrittore americano, descrive un tristo
figuro, malato terminale di cancro alle prese con un costoso divorzio: eppure
un soggetto tanto mal messo è più utile per l'aumento di Pil di uno sano,
felicemente sposato e soddisfatto della sua vita. L'America effettivamente è il
Paese simbolo della ‘contraddizione interna lorda', visto che dal secondo
dopoguerra ha sempre mostrato alti ed invidiabili livelli di Pil, affiancati da
elevati livelli di obesità, costi sanitari e inquinamento, come nota Rowe.
Enrico Giovanni,
capo del dipartimento statistico dell'Ocse e del gruppo sulla valutazione dei
dati crescita, già nel 2007 proponeva di
inserire nelle misure della ricchezza parametri sociali e, pur considerando che
il Pil rimane un valido indicatore economico, precisa che "l'eccesso di
attenzione a questo dato ci ha fatto perdere di vista alcune fragilità dando
troppa attenzione ai risultati immediati".
Più o meno tutti d'accordo: nessuna sostituzione, ma una compensazione
tra dati meramente quantitativi e rilevatori qualitativi. "Cambiare la
misura perché ci dice cose che non ci piacciono non è serio. Sono molto a
favore di sviluppare misure aggiuntive oltre quelle contabili, ma mescolarle
non è una buona idea", commenta Paolo
D'Anselmi, autore de ‘Il barbiere di Stalin - Critica del lavoro
(ir)responsabile' e collaboratore tra gli altri del Consiglio nazionale delle ricerche: "È pur vero che continuare
a darci come obiettivo il solo Pil appare poco significativo. Si può sviluppare
un indicatore di benessere da affiancargli, ma continuando a calcolarlo, se non
altro per raffronto storico".
La crisi,
insomma, può essere "l'occasione buona per scrivere il libro dei sogni. Essere
d'accordo sulla crisi può dare dei frutti, ma per favore non ci si accordi per
mettere le mani sulla cassa".
Il Bhutan è più
avanti
Nonostante la copertina dell'Economist guadagnata nel 2007, l'idea di Re
Khesar di dedicarsi a politiche che incrementino non il Pil del suo Paese,
quanto la felicità dei cittadini, è sempre stata circondata da forti ironie. Agli
occhi dei più pratici opinionisti, la ‘Felicità interna lorda' sembrava una
boutade. Il Re del Buthan e la sua convinzione che tra i dati del benessere
vadano considerati gelosia, frustrazione, tempo libero, salute, educazione ora
sono però diventati più che mai attuali. Sulla stessa linea d'onda l'Happy
placet index nato per mano del gruppo ambientalista Friends of Earth, il quale
misura unicamente l'efficienza ecologica.
Fiducia e libertà
Una statistica Ispo indica che tra 2007 e 2008 la fiducia nei confronti
degli istituti di credito è scesa del 28 per cento, quella nei confronti dei
sindacati dal 43 al 23 per cento. Dell'amministrazione pubblica si fidano
solo 19,8 italiani su cento, dei partiti politici appena 8,8. Quale, allora, la cura? Ancorare l'economia
all'eticità, sostiene Flavio Felice ne ‘L'economia sociale di mercato', in cui
si ripercorre il pensiero della scuola di Friburgo Walter Eucken. Gli
‘ordoliberali', dal nome della rivista Ordo fondata dallo stesso Eucken nel
'40, si contrapponevano ai totalitarismi dell'epoca, proponendo un sistema
basato su economia di mercato, libera iniziativa e lotta a monopoli pubblici e
privati.
La scuola di Friburgo è stata accantonata dalla seconda metà degli anni
'70 e, spiega Felice in merito alla situazione italiana, ignorata in sede di
Assemblea Costituente: "Erano anni in cui nessuno avrebbe messo in discussione
il modello delle partecipazioni statali" spiega il professor Felice "in tempo
di smisurato ottimismo, le cautele e i timori ‘ordoliberali' di
burocratizzazione, di monopolizzazione dei servizi sociali e le ricette
antistataliste a favore del principio di libera concorrenza, apparivano come
un'inutile zavorra che avrebbe inevitabilmente rallentato il ciclo economico
positivo innestato dalla ricostruzione". L'autore spera che "la consapevolezza
che sia finita un'epoca conduca le classi dirigenti economiche, politiche e culturali
a livello globale a riconsiderare la rilevanza della cultura delle regole anche
per la disciplina dei mercati". La libera concorrenza "è un bene troppo
importante perché affondi sotto i colpi dell'irresponsabilità, dell'ingordigia
o dell'ignoranza di banchieri, manager e politici".
Citazione:
"Il Pil comprende
anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze
per sgombrare le nostre le nostre autostrade dalle carneficine dei
fine-settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre
porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Cresce con la
produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il Pil non tiene conto della
salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia
dei loro momenti di svago", Robert Kennedy, 18 marzo 1968
Francesca Lippi
per: SP il giornale di San
Patrignano, pagina 30 e 32, n° 210 April
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