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De Gasperi: sconfitta rimossa. Esuli censura della memoria . 60 anni di lotta antifascista
Scritto da Marista Urru
giovedì 11 febbraio 2010
Dal Corriere della Sera
del 17. 1 .2005
Furono trecentocinquantamila, poco più poco meno. Contadini,
casalinghe, studenti, portalettere, impiegati, imprenditori, studenti.
Finirono
in luoghi molto lontani da casa, dai nomi che sembravano inventati, come
Fertilia o Calambrone.
Centonove centri di raccolta, sparsi in tutte le regioni
d'Italia, accolsero gli esuli dall'Istria e dalla Dalmazia: erano androni
spogli, caserme o villaggi improvvisati nel mezzo di campi sportivi, con stanze
ritagliate fra assi di legno, cataste di cartone, coperte di lana.
Questa fu la
tragedia dell'esodo giuliano-dalmata, da commemorare per legge il 10 febbraio,
anniversario del trattato di pace che sanzionò la perdita definitiva di quei
territori in favore della Jugoslavia. Una ferita che sanguina ancora, e una
tragedia colpevolmente rimossa, accusano in tanti. Ma il saggio di Gianni
Oliva, che sta per giungere in libreria ( Profughi , pubblicato da Mondadori),
chiama in causa un nuovo personaggio.
Accanto a Togliatti, da tempo considerato
responsabile di avere subordinato all'alleanza con Mosca e agli interessi
elettorali del Pci quelli degli esuli e l'italianità stessa di Trieste, Oliva
manda alla sbarra anche Alcide De Gasperi: proprio colui che, come presidente
del Consiglio, viene di solito apprezzato per l'atteggiamento fermo e
responsabile tenuto di fronte agli Alleati durante le trattative di pace.
E
invece, no: la sua colpa, secondo Oliva, è quella di avere partecipato in prima
persona a quella congiura del silenzio che riuscì a rendere «indicibili», alla
fine, sia le foibe che l'esodo. E non accusa lui soltanto, naturalmente, ma
anche tutto il «centro moderato» che lo appoggiava, riconoscendosi nella sua
strategia.
Ma perché mai, secondo l'autore di Profughi , lo statista democristiano e i
laici suoi alleati avrebbero dovuto ordire una congiura del silenzio contro una
popolazione verosimilmente schierata dalla loro parte? Non è più logico
accusare di questa colpa i comunisti, che oltretutto cancellando la pulizia
etnica anti-italiana dai libri di storia avrebbero meglio sfruttato il mito
intatto della vittoriosa resistenza jugoslava?
Oliva non nega affatto le responsabilitàcomuniste, ma sottolinea gli elementi
che più di altri hanno creato un clima favorevole alla censura generalizzata
della memoria. In primo luogo, è ovvio, ci fu l'esigenza di buon vicinato nei
confronti del regime di Belgrado. Se dal punto di vista togliattiano era
naturale appoggiare un compagno di fede comunista (almeno fino al giorno della
rottura di Tito con Stalin, quando il segretario del Pci riscoprì
improvvisamente l'italianità di Trieste), per De Gasperi e in generale per gli
occidentali il dittatore che aveva osato rompere con Stalin rappresentava
invece un insperato, possibile alleato da attrarre nel campo democratico, e al
quale di conseguenza sarebbe stato indelicato ricordare colpe troppo gravi.
Ma
più in generale, argomenta Oliva, De Gasperi e i suoi si impegnarono a
diffondere l'interpretazione della guerra come una «parentesi fascista» da
cancellare al più presto, un incidente di percorso da minimizzare per evitare
epurazioni troppo profonde nel personale politico, giudiziario e
amministrativo. ( e questa spiegazione calza come un guanto alla verità)
Di più: l'obiettivo
della strategia centrista fu quello di rappresentare l'Italia come una nazione
«vincitrice», dal momento che aveva concluso la guerra dalla parte giusta,
pagando anche un alto prezzo di sangue sul campo di battaglia e nella
guerriglia partigiana.
Bisognava, sostiene Oliva, «rimuovere in modo radicale dalla memoria collettiva
tutto ciò che ricordava la sconfitta».
Proibito parlare, dunque, dei
prigionieri di guerra italiani, un milione e trecentomila persone che se ne
ritornavano in condizioni pietose dai paesi più disparati, meritandosi al
massimo una pacca sulla spalla e il pagamento degli arretrati.
Meglio mettere
il silenziatore alle pratiche di guerra durante l'occupazione «imperiale» in
Albania e Grecia, Jugoslavia e Francia meridionale, e non parlare dei criminali
di guerra italiani (tanto meno estradarli in quei Paesi che li richiedevano per
giudicarli).
Rinviare e insabbiare, insomma, anche a costo di nascondere per
par condicio , nei nostri «armadi della vergogna», i documenti che provavano i
delitti commessi dai soldati del Reich sul suolo italiano.
E soprattutto la cortina del silenzio doveva cadere sulle vittime delle foibe e
sui protagonisti dell'esodo giuliano e dalmata: perché accoglierli con tutti
gli onori sarebbe stata una dimostrazione evidente di quello che si voleva
nascondere, cioè il fatto che l'Italia aveva perso la guerra.
E le polemiche
accese dalla destra? Ammesse, a patto che rimanessero sul terreno della
polemica ideologica, della propaganda anticomunista. Ma le cause e le
conseguenze di quel dramma, avrebbero dovuto restare decisamente tabù.
E questo, comunque si giudichino le responsabilità, non è veramente accaduto?
Il Corriere della sera
17 1 2005
Si ha ragione Oliva, tutto questo e molto di più è accaduto, molto di più è stato gettato sulle spalle degli Italiani, della gente comune , quella che la guerra si limitò a subirla, comprese le reazioni alle eroiche azioni dei partigiani ", che ammazzavano soldati tedeschi in azioni chiamiamole di "guerriglia", e scappavano coraggiosamente, lasciando interi villaggi di donne e bambini alla mercè delle rappresaglie previste dalle leggi di guerra.
Si decise per il silenzio, si decise di non disturbare certi equilibri politici, si decise di passare sulla pelle degli esuli, ma anche degli Italiani tutti e fu una vera censura e
rimozione che colpì certo dolorosamente e vilmente ,a mio modo di vedere , gli esuli ai
quali si fecero avere, almeno secondo il
mio ricordo, qua e là piccoli aiuti e piccoli canali preferenziali cercando
alla bella e meglio di rimediare. Sta di fatto che furono in Italia spesso
odiati per questi piccoli aiuti, visti
come favori nella povertà e difficoltà
che attanagliava molte famiglie.
Non furono tempi facili per i profughi, ma anche per
moltissimi Italiani che si trovavano nei fatti , grazie alla scelta del compromesso e del silenzio, a subire una
sottile guerra civile.
I comunisti erano nel Paese, e volevano il potere, si
sentivano vittoriosi e volevano il bottino
di guerra. Ebbene in qualche modo lo
ebbero, e furono gli italiani comuni il loro bottino di guerra, sempre un passo indietro
rispetto al potere occulto di certo comunismo,
che si permise con stupida cecità che potesse
infiltrarsi in tutto l'ambito
della cultura, con effetti disastrosi sulla scuola, sulla università, sullo spettacolo,
ambito questo ultimo in cui sopravvissero solo quegli artisti che seppero
barcamenarsi in quel clima melmoso e sdruccioloso, a volte penso che non deve esser stato facile
neanche per chi accettò una vita di
bugie e compromessi.
Da quel clima
comunque molti ne uscirono
distrutti: valenti scrittori, giornalisti, pittori , possibili attori.. generazioni di uomini e donne di cultura e di
sapere, buttate nel cesso, costrette al silenzio .
O si era comunisti
ben inseriti o nulla , fame , dispetti, soprusi. Ed era una lotta sottile che
partiva dal basso, a cominciare dal portiere
di casa, all'usciere del ministero, all'impiegato sportellista
delle Poste, persino negli Ospedali poteva capitare l'infermiere o il
portantino che ti sbatteva la barella, ti negava la medicazione finchè non
cambiava il turno, c'era la nostra sarta che piangeva disperata raccontando
cose da rizzare i capelli, sui dispetti di infermiere e portantini in ospedale,
consumate su una povera vecchia che nulla aveva a che vedere con la guerra, ma aveva avuto il padre sbagliato, e alla verifica dei fatti, tutti i suoi racconti
risultarono verissimi.
A raccontarlo sembra
da pazzi, immagino il coro di No, invece capitavano davvero cose pazze e profondamente
ingiuste, a certi non veniva permesso
nemmeno di guadagnarsi un tozzo di pane come ambulanti, se le piccole spie scoprivano che il poveraccio durante il
fascio per lavorare che so, come bidello, aveva dovuto prendere la tessera del
fascio ( altrimenti non lavoravi), buttandola poi in fondo ad un cassetto. Poi
abbiamo visto fascisti convinti, laudateres del duce, gente che col fascio aveva ben vissuto,
venire accettata a sinistra, osannata applaudita, fino ad occupare posti
di prestigio o più spesso messa laddove poteva fare ottima campagna contro il fascismo ed i fascisti.
Sessanta anni di campagna contro il fascismo,e non è finita,
condotta spesso dai vecchi fascisti .
A proposito dei sessanta anni di gloriosa lotta
antifascista: ho il ricordo vivo di un povero caldarrostaro di Roma negli anni
60 se non sbaglio, al quale in mille
modi ( compreso assalti al suo sgabello e minacce), volevano impedire di vender le
castagne arrosto, attività che allora fruttava pochissimo, il minimo del
sostentamento per la sua piccola famiglia, mio padre fece una fatica dell'inferno
per riuscire a fare si che potesse spostarsi col suo banchetto nei pressi di
una postazione di vigili urbani, prima che lo facessero fuori a calci, per gli infelici che lo perseguitavano si
trattava a detta loro di "lotta politica
"
Il guaio è che troppi di loro non sono cambiati da allora: fascisti rossi.
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