Spero di tutto cuore che Cossiga ce la
faccia e apertamente lo affermo sottraendomi al coro becero degli
sciacalli che dai blog lo vitupera. Certo questo politico diverso e
per certi versi anomalo è un enigma, ma è altrettanto sicuro che se
noi italianucci cominciamo ad avere un barlume di consapevolezza del
mondo in cui siamo immersi, lo dobbiamo a lui, a Francesco Cossiga.
A quanti continuano a sbandierare con l' aria truce di chi ritiene
di aver capito e sapere la verità, i fantasmi del passato che
attendono una spiegazione, come molti altri fantasmi che si
preferisce non ricordare o sui quali si preferisce fare abile
mescolio di carte,ricordo questo aforisma :
..l'essere è un mare sconfinato e
incommensurabile.
Non dite: "Ho trovato la verità",
ma
piuttosto: "Ho trovato una verità". .. ( Gibran)
dal libro "Fotti il Potere -
manuale sul potere politico", scritto da Andrea Cangini con
Francesco Cossiga (Aliberti Editore )
"POLITICA E DENARO? I BILANCI DEI PARTITI SONO ANCORA
FALSI"
Andrea Cangini per quotidiano nazionale
Tutto ritorna, parrebbe: Mani Pulite, la corruzione, il rapporto
perverso tra politica e denaro. C'è da scandalizzarsi? Secondo
Francesco Cossiga, no. Perchè, come spiega nel libro in uscita per
Aliberti ‘Fotti il Potere, gli arcana della politica e dell'umana
natura', «tra politica e denaro ci sarà sempre un legame
indissolubile» e non bastano «le logiche moraliste tipicamente
italiane a cancellarlo». Si può nasconderlo, al massimo.
Ma non si può pensare che le regole non scritte del gioco
politico vengano come d'incanto sovvertite. Dice infatti il
presidente che «come accadeva durante la Prima repubblica, i bilanci
di tutti i partiti sono ancor oggi sistematicamente falsi», i soldi
che ricevono attraverso il finanziamento pubblico «sono solo una
minima parte di quelli di cui possono effettivamente disporre» e
pertanto «non c'è personalità politica che non possa essere
sbattuta in galera per tangenti».
E' capitato anche a Cossiga di
maneggiare denaro altrui, e nel libro lo racconta. Racconta anche
che, oggi come allora, non c'è grande partito in cui non emergano
personaggi i cui meriti politici restano avvolti nel mistero ma le
cui carriere si giustificano con il rapporto esclusivo che hanno
saputo tessere con chi il denaro lo ha davvero. Perché «i politici
sono ormai marionette nelle mani dei banchieri», e «sul fiume di
denaro frutto della corruzione navigano le carriere e le fortune
personali di molti di loro».
Può dunque capitare che un po' di quel denaro destinato a
finanziare la politica resti attaccato alle mani dei politici. Ma
sarebbe saggio non farsene un cruccio. Francesco Cossiga cita un
brano della lettera scritta al nipote dal liberale Massimo D'Azeglio
quando, nel 1852, lasciò la carica di primo ministro del Regno di
Sardegna: «Nessuna opera pubblica può giammai essere realizzata
senza che alcuno si arricchisca su di essa».
Meglio rassegnarsi, dunque. Perché a mettere l'accento solo sul
versante morale dell'agire politico si rischia di trascurarne gli
obiettivi naturali: fare, realizzare cose nell'interesse generale.
Cossiga ritiene infatti che la moralità individuale andrebbe
rapportata all'efficacia di governo, perché «è meglio il
politico che ruba un po' ma sa governare bene, di uno onesto ma
incapace». Difficile che tale ‘sensibilità' possa permeare i
ranghi della magistratura. Che però è fatta di uomini come tutti,
dunque non necessariamente estranei al fascino del potere.
E del denaro. Può pertanto darsi il caso che indagini
oggettivamente legittime rispondano a logiche esclusivamente
politiche. O di potere. Ad esempio: secondo Cossiga «Mani Pulite non
nasce con l'arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con diversi grandi
imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati
contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle
intercettazioni. C'è qualcosa che non torna: perché quelle
inchieste da anni dimenticate sono state di colpo lanciate tra i
piedi del ceto politico?». Secondo il presidente, allora l'azione
della magistratura fu incoraggiata dall'Fbi americano e dai poteri
forti italiani.
L'obiettivo? Rovesciare un sistema politico logoro e dal loro
punto di vista ormai inservibile. La prassi non è cambiata: «La
polizia giudiziaria non risponde più ai propri superiori, per cui il
magistrato chiama il funzionario di turno e gli dice: ‘Lei
intercetti Tizio, se risulta qualcosa di utile per l'inchiesta, ho
già lasciato uno spazio bianco negli atti; in caso contrario, metta
da parte le cassette perché possono tornare utili...'».
In quelle intercettazioni si trova a volte anche la prova di
collusioni col contropotere mafioso. Strano? Macché: «L'Italia -
allarga le braccia Cossiga - è l'Italia: l'Italia della mafia,
della camorra e della ‘ndrangheta. E, purtroppo, sarà sempre così.
Dobbiamo rassegnarci perché i poteri mafioso, camorrista e
‘ndranghetista non ci sono estranei: sono espressione del carattere
della gente cui si rivolgono e corrispondono ad un sentimento
radicato in alcuni popoli italiani. Per cui, ad esempio, anche chi
non è camorrista in senso stretto ma aspira a governare la Campania
sa benissimo che non deve rompere le palle alla camorra...».
Il che, concretamente, cosa significa? «Significa tante cose, la
più banale è che se a una gara d'appalto partecipa una ditta in
odore di camorra quella ditta verrà fatta vincere... Stesso discorso
per la mafia. Per fare politica occorre avere rapporti con chi ha il
potere, e in Sicilia, come sanno bene anche quei pochi ex diessini
capaci di raccogliere qualche voto sull'isola, fare politica senza
entrare in contatto con la mafia è impossibile. Salvo accettare di
svolgere un ruolo residuale...». Il che, per la maggior parte dei
politici (anche di quelli ‘onesti') sarebbe una scelta
contronatura.
2 - A INVENTARE LA P2 FURONO GLI AMERICANI
Un
capitolo tratto da "Fotti il Potere", manuale
sul potere politico scritto da Andrea
Cangini con Francesco Cossiga
Non c'è solo il denaro, naturalmente. Il regno oscuro del
potere invisibile su cui spesso s'appoggia il potere politico si
compone di voci diverse, e una parola che da sempre aleggia sulla
politica italiana è la parola massoneria. Parola cara a Francesco
Cossiga, che massone dice di non esserlo mai stato ma che tale viene
comunque considerato da molti. Anche perché è lui stesso a
lasciarlo intendere. Ci gioca. Ama ricordare il nonno «massone di
rito scozzese e venerabile della Loggia di Sassari» e quando occorre
difende l'istituzione da attacchi, critiche e luoghi comuni.
Presidente, la massoneria è in grado di influenzare la
politica?
«Le risponderò con un motto, poco noto,
di Alcide De Gasperi: "Sapere che esiste, ma non parlarne mai e
avere almeno due ministri massoni nei governi che si formano"».
Perché?
«Perché la massoneria può
sempre tornare utile. Naturalmente oggi non ha più la forza che
aveva nell'Ottocento, quando era la religione civile del
Risorgimento contro la Chiesa e accomunava monarchici e repubblicani.
Allora, la massoneria coincideva con lo Stato e massoni erano i
vertici delle forze armate e dei carabinieri. Oggi la massoneria è
ancora influente, ma sicuramente meno d'un tempo».
Perché si diventa massoni?
«Ah, be',
occorre distinguere. Oggigiorno c'è anche chi, sulla scia delle
suggestioni new age e magari della letteratura di Paulo Coelho, si fa
massone spinto da un umano desiderio di trascendenza e di
spiritualità fuori dalla religione tradizionale. Per altri è una
forma di distinzione sociale: in loggia si ritrovano con persone più
altolocate di loro e ritengono di poterne trarre qualche vantaggio».
Conta più l'ideale o l'interesse?
«Domanda
difficile, credo che per molti l'interesse sia una spinta più che
sufficiente...»
Può dunque capitare che uomini politici avversari in
parlamento alla sera si ritrovino nella medesima loggia: questo ha un
qualche effetto sulle cose della politica?
«Può
averlo, certo. In loggia si stringono legami personali, nascono
rapporti, si concepiscono affari... Ma a far la differenza tra una
condotta lineare e una condotta diciamo così equivoca sono, al
solito, la tempra morale e il senso dello Stato di ciascuno».
Dalla massoneria alla P2, in passo è breve...
«La
gente non sa che la P2 è stata inventata dagli Stati Uniti, Paese in
cui l'influenza degli "illuminati" è rappresentata dalla
simbologia massonica emblematicamente riprodotta sulle banconote da
un dollaro e nel quale dei quarantaquattro presidenti che si sono
succeduti alla Casa Bianca fino a oggi solo tre non erano massoni:
due di loro (McKinley e Kennedy) furono ammazzati, mentre il terzo
(Nixon) fu costretto alle dimissioni. Quanto a Obama, non saprei
dire.
Ma se finirà ammazzato anche lui potrebbe significare che non era
massone... La P2, comunque, esiste da quando Roma è diventata
Capitale d'Italia ed era la loggia a cui si iscrivevano i massoni
che ricoprivano alte cariche dello Stato. E questo spiega perché non
ci fosse l'obbligo di frequentare il Tempio il sabato sera e perché
ci si potesse iscrivere anche all'orecchio del "Grande Fratello".
Il primo statista della P2 fu Giuseppe Zanardelli, più volte
ministro e nel 1901 capo del governo. In tempi più recenti, quando
gli americani videro che i comunisti si stavano avvicinando troppo
all'area del potere fecero della P2 un'associazione
iperatlantista. Diciamo la verità, si immagini cosa poteva
fregargliene a certi banchieri o a certi capi di Stato maggiore di
forza armata di Licio Gelli... Aderire alla P2 per molti è stato
solo un modo per avere buoni rapporti con gli Stati Uniti, i quali
incaricarono appunto Gelli, che io conosco bene, di organizzare la
cosa».
Con quale fine?
«Col fine di essere
sempre informati su quel che accadeva in Italia, di ritardare il più
possibile l'andata al potere dei comunisti e di avere a
disposizione un ultimo baluardo di democrazia qualora la situazione
fosse effettivamente precipitata».
Nel frattempo, i piduisti facevano affari...
«Sì,
certo, come avviene in tutte le associazioni. Ma la gente non sa, o
non ricorda, che dopo tutto il can can che è stato fatto la
Cassazione ha sentenziato che l'appartenenza alla P2 non
costituisce reato. Essere iscritti alla P2 o a una bocciofila era,
insomma, la stessa cosa!»
Per il trentennale del sequestro Moro si è tornati a parlare
della P2, cui, tra gli altri, erano iscritti tutti, ma proprio tutti,
i capi dei servizi segreti di allora, nonché il capo della squadra
mobile responsabile dei posti di blocco a Roma e il comandante dei
nucleo investigativo dei carabinieri. C'è chi crede che questo sia
più che sufficiente a spiegare la mancata liberazione
dell'ostaggio.
«Favole. E poi, guardi, per prassi i
direttori dei servizi segreti sono stati tutti nominati con l'accordo
del Partito comunista, e s'immagini se il servizio di vigilanza del
Pci non sapeva che erano pidduisti...»
Il servizio di vigilanza del Pci?
«Sì,
era uno dei servizi di informazione più capillare dentro
l'amministrazione dello Stato: bravissimi e cioè
in-for-ma-tis-si-mi! Pensi che scoprii solo diversi anni dopo essere
stato ministro dell'Interno che avevano contatti costanti col
servizio segreto militare e con quello civile. E senza che il
ministro ne sapesse nulla! Le racconto questo per dire che il Pci
della P2 e di chi fossero i suoi affiliati sapeva tutto, ma non ha
mai ritenuto che ciò rappresentasse una vera e propria minaccia».
La P2 si è affettivamente sciolta?
«Sì,
fu effettivamente sciolta e Giovanni Spadolini, che di questo fece un
suo cavallo di battaglia, attraverso il gran maestro Armandino Corona
epurò i piduisti dalla massoneria con scrupolo certosino. Uno zelo
che lo mise in contrasto con la Gran Loggia di Londra, dal momento
che un massone non può, o meglio non potrebbe, denunciare e far
giudicare dalla Giustizia profana un fratello massone».
Modesta annotazione a margine, ricavata da una pagina ingiallita
del notes di un vecchio cronista. È il resoconto dell'arrivo a
Roma del neoambasciatore statunitense Graham Martin, uomo legato alla
Cia. Siamo alla fine degli anni Sessanta, è una mattinata tiepida e
ai piedi della scaletta dell'aereo appena atterrato da Washington
sostano due macchine.
La prima, più vicina, è quella dei funzionari dell'ambasciata
giunti ad accogliere il nuovo capo. Della seconda, ferma qualche
metro più in là, non si sa nulla. Solo quel che si vede: è una
mercedes scura. Martin sbarca dall'aereo, saluta frettolosamente
gli uomini dell'ambasciata e si dirige verso la mercedes. Ne scende
un uomo di bassa statura che l'ambasciatore abbraccia fraternamente
e col quale si accomoda sul sedile posteriore. La mercedes fila via,
quell'uomo era Licio Gelli.
da:
http://sottoosservazione.wordpress.com/2010/05/27/il-testamento-del-gattosardo-vecchio-e-malato-questo-libro-e-l%E2%80%99ultima-parola/
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1. Una Storia italiana Scritto da
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, il 11-08-2010 15:36 L'obiettivo principale fino alla caduta del Muro era di prevenire che il Comunismo si impadronisse del bel Paese. Erano i tempi della Guerra Fredda, se ciò non avvenne dobbiamo ringraziare anche o forse proprio Francesco Cossiga. Ora il muro non c'è se non nella mente di qualche nostaligico, e la Guerra Fredda è finita, nel bel Paese non rimane altro che l'eco sinistro del comunismo, tanti fantasmi del passato e una Società disiunita e quasi allo sbando. Un Italia che ora non sa, non riesca, o non possa voltare pagina in modo pacifico, diventerà come un vecchio ritornello che nessuno canta più. Spero che Francesco Cossiga resti ancora con noi, ma se questa volta deve andare veramenet allora questo vorra dire che il suo lavoro in Italia è terminato e spriamo possa ancora dare i suoi Frutti. Ciao.
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