Non
per tutti il 68 rappresentò una occasione mancata, Margherita Hack ci
racconta i successi di un gruppo di ricercatori dell’epoca.
Viene da chiedersi, conoscendo la situazione attuale di ricerca e di
giovani ricercatori , se non si trattò del successo episodico di gruppi
che riuscirono a cavalcare l’onda, senza nessuna vera elaborazione
culturale e politica, per cui stiamo al punto in cui stiamo.
La democratizzazione della società c’è stata veramente, o piuttosto
il risultato infine non e consistito nell’ abbattere qua e là
l’oppressione di una oligarchia per sostituirla con quella di una nuova
oligarchia? Io nonostante l’esperienza di Margherita Hack, visti i
risultati davanti agli occhi di tutti, continuo a pensare che il 68 in
Italia è rimasto in superficie, è stato lotta è vero, ed ha distrutto
qualcosa, ma ha edificato pochissimo, è mancata la elaborazione di una
vera cultura per la società, i nostri intellettuali i nostri professori
nelle Università si sono arroccati in un intellettualismo di elite,
contorto e criptico, per niente o quasi rivolto alla società di un
Paese che sentivano troppo stretto per le loro eccelse menti, Paese cui
si è donata una finta democratizzazione di maniera, petendendo che i
sessantottini restassaero in buona sostanza i giovani scamiciati e
gazzarranti, buoni da usare al momento opportuno nelle piazze per i più
disparati e a volte inconfessabili interessi di pochi; il discorso
sarebbe lungo , ma i fatti ed i risultati, ci sono tutti: il paese
italia non è stato toccato granche’ dalla rivoluzione del 68, la
cronaca dei nostri tempi rimarca tutta la differenza fra noi e gli
altri in Europa.
Il ’68 importante occasione per la democratizzazione della scienza e
della società: Margherita Hack-da ifatti.com IO E IL 68 -
24/09/2007
Lottammo per dare libertà di ricerca e di movimento ai giovani e permettere loro di crescere
Lottammo per dare libertà di ricerca e di movimento ai giovani e permettere loro di crescere
Trieste () - Il ’68 è stato un movimento di grandi
speranze che ha rappresentato l’opportunità di innovare e di portare
più democrazia in molti campi, ha cercato di opporsi a una struttura
rigida e gerarchica. Vi ho partecipato con entusiasmo per le lotte che
riguardavano l’ambiente astronomico e l’università in generale, perché
è stata un’importante occasione per la democratizzazione della scienza
e più in generale della società.
Gli osservatori italiani avevano una struttura rigidamente gerarchica.
Erano istituti monocattedra in cui il direttore aveva poteri assoluti;
non era tenuto a informare i suoi collaboratori dell’entità dei
finanziamenti, né a discutere con loro i programmi di ricerca. Inoltre
in Italia quasi tutti i direttori erano di formazione matematica e
interessati alla meccanica celeste, mentre la nuova astronomia era
essenzialmente astrofisica e richiedeva ricercatori fisici. Oggi la
meccanica celeste ha riacquistato grande importanza grazie alla ricerca
spaziale, ma nella prima metà del XX secolo lo sviluppo delle ricerche
di astrofisica in Italia era quasi inesistente con l’unica eccezione
dell’osservatorio astrofisico di Arcetri a Firenze, diretto da un
fisico, Giorgio Abetti.
Abetti era anche persona estremamente liberale che a differenza dei
suoi colleghi discuteva di programmi e finanziamenti con i suoi
collaboratori e li spingeva a recarsi per lunghi periodi all’estero,
nei maggiori istituti europei e americani, aiutandoli a ottenere borse
di studio e incarichi di ricerca. Solo a partire dalla metà degli anni
’50 anche l’osservatorio astrofisico di Asiago, diretto da un fisico,
Leonida Rosino, cominciò a sviluppare programmi moderni di ricerca. Un
importante stimolo alla modernizzazione dell’ambiente astronomico, che
precorse di qualche anno il ’68 fu la collaborazione fra Rosino e
Nicolò Dallaporta, un fisico teorico specializzato nella fisica delle
particelle, che stava ritornando agli interessi di gioventù per
l’astrofisica. Dallaporta proveniva dall’ambiente dei fisici, che,
abituati a vivere e lavorare in istituti pluricattedra, in cui la
direzione dell’istituto era considerata più un onere che un onore,
assunto a turno dai cattedratici, avevano una mentalità molto più
aperta e democratica.
Sempre fra il ’64 e il ’68 la direzione degli osservatori di Trieste e
poi di Catania e di Napoli fu assunta da me e poi da Giovanni Godoli e
Mario Rigutti. Eravamo tutti fisici e poco più che quarantenni. Con
Dallaporta riuscimmo in una prima democratizzazione del sistema, nata
dall’alto e cioè dai direttori. Fondammo un’associazione spontanea di
tutti i cattedratici di materie astronomiche, e di cui faceva parte
anche un rappresentante del personale di ricerca, che chiese al
ministero della Pubblica istruzione di consultarci per quanto
riguardava finanziamenti e attribuzione del personale. Noi avremmo
discusso le necessità dei singoli osservatori, tenendo conto
soprattutto della loro attività scientifica. Prima di questa
associazione (CAPA, Collegio Allargato Professori Astronomia) il
ministero attribuiva fondi e personale in base alla tradizione
piuttosto che alle reali necessità. Osservatori che erano stati
importanti magari nel secolo scorso, ma che erano decaduti, seguitavano
a far la parte del leone, mentre ai nuovi istituti emergenti toccavano
le briciole. I funzionari ministeriali furono ben contenti di questa
iniziativa che li liberava dalle continue e insistenti pressioni dei
direttori. Questo fu il primo passo che permise a istituti piccoli e
quasi inesistenti, come era nel ’64 l’osservatorio di Trieste, di
crescere e svilupparsi rapidamente.
Intanto era arrivato il ’68, e anche sull’onda dei movimenti
studenteschi, quasi tutti i ricercatori non cattedratici di astronomia
e i più liberali fra i cattedratici decisero di formare un’altra
associazione spontanea, questa volta dunque nata dal basso, chiamata
ANRA (Associazione Nazionale Ricercatori Astronomia).
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1. la Hack, un po' strana, ma è una mosca Scritto da
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, il 30-08-2008 19:25 Ciao giuseppe, credo che la Prof. non sia una gran politica, stranamente visto che stupida non può essere, si abbandona a strambi ed inconcludenti discorsi girotondini contro i berlusconismo, pochissimo consistenti, vien da pensare che è appunto meglio che lasci il seggio a qualcun altro che magari chi sa, possa rendere alla comunità un po' di più dal punto di vista politico, a noi ci sta bene che faccia la scienziata e le perdoniamo certe stramberie, visto che è una mosca bianca: rinuncia a privilegi e danari... mai visto o quasi.
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2. Ciao Scritto da
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, il 30-08-2008 18:54 Ma come mai ogni volta la prof. Hack abdica il seggio per il quale viene eletta? Dovrebbe ocuparsene lei personalmente...
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