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RI.REI Lazio: così trattiamo disabili ed operatori, ad ulteriore vergogna del nostro Paese
Scritto da Marista Urru
giovedì 27 agosto 2009
Avere un figlio disabile, un dolore infinito che credo possa
lenirsi solo nella felicità che ti dona ogni sua piccola o grande conquista, ma
perché questo avvenga ci vuole oltre tanto amore, tanta professionalità, e noi
ne Lazio quell'amore e quella professionalità li abbiamo, allora la vergogna
dove sarebbe?
E' nelle istituzioni. Lascio raccontare a chi lo ha fatto
benissimo prima di me, scrive Rossella
Anitori su terra news . il 2 luglio 2009, un dossier preciso , una chiara esposizione dei fatti dalla quale non si sfugge con due promesse poi mancate, come si vedrà dalla denuncia portata aTelesantamarinella oggi.
DOSSIER - RI REI, I
disservizi del consorzio che gestisce centri di riabilitazione nel Lazio.
Strutture fatiscenti, condizioni dei pazienti disumane, mancate retribuzioni e
indifferenza delle istituzioni. Un girone davvero infernale. -
Pensa a qualcosa a cui tieni. Pensa a qualcuno che ami. È
fragile, e non può difendersi. Immagina che abbia un problema. È grave e non
sei tu che puoi risolverlo. Autismo, disfunzioni cerebrali e disturbi
psicomotori. La struttura che può aiutarlo peggiora le cose. Se ne approfitta.
E fa del tuo dolore un'occasione di business. Allora puoi sentire
l'indignazione dei familiari che protestano e chiedono giustizia. «Trattano i
nostri figli come animali - racconta Angela Maria Contona, presidente dell'associazione
genitori -, e nonostante le denunce, i sitin e le manifestazioni, la Regione è sorda alle
nostre richieste d'aiuto».
Il consorzio Ri.rei gestisce da tre anni alcuni centri di
riabilitazione del Lazio, protagonisti di numerosi scandali e disfunzioni. Il
bilancio è a dir poco fallimentare: le attività terapeutiche previste non
vengono svolte; i pazienti, affetti da patologie diverse, vengono parcheggiati
negli stessi locali; gli operatori, in numero carente rispetto alle necessità
dell'utenza, vengono pagati in ritardo o non vengono pagati affatto. Ma non è
tutto: carta igienica, acqua calda e lenzuola sono lussi che il consorzio non
sembra potersi permettere, e il cibo, di pessima qualità, non è mai
sufficiente.
SEBBENE OGNI CARENZA E OGNI INADEMPIENZA SIA STATA
PUNTUALMENTE DOCUMENTATA E MESSA AGLI ATTI, si fa ancora largo l'ipotesi di
confermare definitivamente la gestione al consorzio o alle singole cooperative
che ne fanno parte. «La commissione Sanità ha espresso parere negativo sulla
gestione dei centri - spiega Angela Maria -, la Regione Lazio, però,
fa finta di niente».
Genitori e assistenti hanno sporto in totale 14 denunce,
hanno inoltrato segnalazioni ed esposti al Prefetto di Roma, alla Regione
Lazio, al ministero della Sanità, alla Procura della Repubblica di Roma e di
Civitavecchia, ai Nas, alla Guardia di finanza e ai Vigili del fuoco. «I
pazienti hanno dormito tutto l'inverno indossando la giacca a vento - racconta
Elena Bonuglia, sorella di un ragazzo autistico ricoverato nel centro di Santa
Severa -.
Faceva freddo e non c'era il riscaldamento. E quando è
mancata l'acqua - aggiunge -, gli operatori sono andati a prenderla in piscina.
E un secchio dopo l'altro l'hanno riscaldata nelle pentole». Ancor più
inquietante è la testimonianza di Angela Maria: «Quando mancano le lenzuola
lasciano dormire i ragazzi sull'incerata. Sono tanti i casi di piaghe da
decubito». Silvia, invece, mamma di un ragazzo ospite nella struttura di
Lavinio, riferisce di episodi di violenza: «La scorsa settimana mio figlio ha
ricevuto un pugno in faccia. Gli operatori non sono mai abbastanza e spesso per
governare la situazione usano le mani. Le botte a Lavinio sono all'ordine del
giorno».
Ida, madre di un'altra paziente, racconta la sua esperienza:
«Mia figlia ha tre punti in testa. Il personale mi ha riferito che era sola e
che si è fatta male cadendo dal letto». Anche l'incidenza degli infortuni sul
lavoro è altissima, «si parla di due o tre episodi alla settimana», dice ancora
Angela Maria. «Pensare di affidare ventisei persone a 3 operatori è assurdo»,
commenta un'operatrice del centro di via Maiorana. «Per non parlare poi del
fatto che vengono tenuti tutti insieme - aggiunge Elena -, nello stesso
stanzone. Al di là delle esigenze di trattamento specifico.
Nel centro di Santa Severa si penalizzano tutti i casi:
autistici, schizofrenici, invalidi e cerebrolesi fanno gruppo unico. Non ci
sono neanche sedie per tutti, li fanno sedere a terra». Ad avvalorare il
resoconto dei genitori concorrono le testimonianze dei lavoratori. Mimmo, un
assistente del centro di via Sbricoli è demoralizzato: «Non abbiamo mezzi per
svolgere un lavoro così delicato. La sola cosa che possiamo fare è mettere in
campo la nostra esperienza. Ogni giorno bisogna inventare qualcosa». Poi aggiunge:
«Via Sbricoli era il fiore all'occhiello della sanità laziale.
Un centro sperimentale per l'autismo davvero
all'avanguardia, peccato che in tre anni sia precipitato, non rimane nulla di
quel che è stato. Oggi non c'è neanche una sedia che sia di proprietà del
consorzio». E per Claudio, fisioterapista e padre di una ragazza degente, la
parola chiave per capire le circostanze in cui gli operatori si trovano a
lavorare ogni o è «disinvestimento». A scapito della professionalità degli
assistenti, che pagano di tasca propria i corsi di aggiornamento, e dei centri,
sprovvisti dell'essenziale. «Sempre più spesso - dice Claudio - ci troviamo a
sopperire da soli alle carenze delle strutture. Portiamo da casa il necessario,
i giochi per i bambini, i test di valutazione neuropsichiatrici e il materiale
per le attività riabilitative ».
LA
SITUAZIONE DEI CENTRI DI RIABILITAZIONE RI.REI NON SUONA
NUOVA ALLA REGIONE, responsabile dell'affidamento dei servizi al consorzio,
tantomeno alla stampa, che ha più volte raccolto le denunce di parenti e
lavoratori. Guido la Forgia,
un dipendente del centro di via Sbricoli, ne ha fatto le spese. «Sono stato
licenziato per aver segnalato il degrado delle strutture. Uno stato di fatto,
vero e documentato. Non ho fatto altro che comunicare al datore di lavoro che
la situazione era grave, poi davanti all'inerzia della dirigenza ho esposto il
problema agli organi di vigilanza e alla Procura della Repubblica. Non credo di
aver meritato un licenziamento ».
Gli operatori non vogliono che la verità sia nascosta,
odiano le maschere. Hanno fotografato lo scandalo e messo al corrente i
familiari. Guido è stato licenziato e molti altri rischiano il posto: le
intimidazioni, infatti, sono all'ordine del giorno. «Veniamo continuamente vessati
e minacciati. Precettati nel non aderire agli scioperi denuncia Mimmo -. La
dirigenza dei centri non vuole che gli operatori parlino con i genitori dei
pazienti». Quella di Mimmo non è solo un'impressione.
Dagli atti della mozione 376 presentata al Consiglio
regionale il 4 febbraio del 2009 si legge: «Il consorzio Ri.rei, di fronte alle
dettagliate segnalazioni di inadempienza e inadeguatezza, ha posto in atto una
forte azione di repressione per tentare di ammutolire i lavoratori e quanti
altri si adoperano per chiedere un'azione di controllo sul suo operato e
garantire livelli adeguati di assistenza e cura per gli utenti». Strutture
fatiscenti, condizioni dei pazienti disumane, mancata retribuzione degli
operatori e indifferenza delle istituzioni.
La domanda è: come si è arrivati a tutto questo? Prima di
passare nelle mani del consorzio Ri.rei, la gestione dei centri di
riabilitazione faceva capo all'associazione Anni verdi, onlus che operava in
convenzione con il sistema sanitario nazionale. Nel mese di luglio 2006, però,
la onlus viene messa in liquidazione. Per evitare di interrompere un servizio
pubblico essenziale, che rispondeva alle necessità di oltre 1.000 persone
affette da gravi patologie e impiegava circa 500 lavoratori, l'autorità
prefettizia con apposito provvedimento requisì le strutture dove i disabili
erano ricoverati e le affidò alle rispettive Asl di competenza. I servizi
vennero dunque internalizzati, ma solo per due mesi.
Dal mese di settembre, infatti, la gestione venne affidata
dall'assessore alla Sanità della Regione, Augusto Battaglia, a un consorzio
formato dalle maggiori centrali cooperative del Lazio, la Ri.rei per l'appunto. Un
soggetto costituito ad hoc appena una settimana prima, il 21 agosto. «Non c'è
stato alcun bando di concorso, nessuna gara pubblica - denuncia Elena -, il
servizio è stato affidato direttamente a un consorzio appena nato, non
competente e privo di risorse economiche per sopperire anche a temporanee
difficoltà finanziarie».
Il consorzio è costituito, infatti, da tre cooperative,
Unisan, Osa e Nuova Sair, che non avendo esperienza nel settore, né mezzi
propri, non possiede i requisiti previsti dalla legge per fornire il servizio.
A tre anni di distanza le conseguenze di questa scelta sono piuttosto evidenti,
dalle istituzioni però non è arrivato alcun segno.
«DIETRO AL CONSORZIO RI.REI C'È LEGACOOP, AGCI E
CONFCOOPERATIVE LAZIO - SPIEGA CLAUDIO -. È un pezzo di Roma che sta gestendo
la partita. Sono inattaccabili. Neanche l'opposizione ha fatto barricate su questo
tema. E la Regione
ha le mani legate». Nonostante le molte promesse, non sono stati ancora presi i
provvedimenti necessari per far luce sull'intera vicenda. «Oggi Battaglia non è
più in carica - aggiunge - ma non perde occasione per spalleggiare il consorzio
e sostenere la causa dell'accreditamento». Genitori e operatori vogliono
chiarezza, chiedono che siano messe al primo posto le esigenze dei pazienti, e
non altri interessi.
Anno dopo anno la Regione Lazio ha versato nelle casse del
consorzio milioni di euro, un budget che la Ri.rei sembra non abbia saputo gestire al meglio.
Il consorzio si sarebbe infatti reso colpevole di gravi inadempienze sia verso
i lavoratori, non pagando le spettanze dovute, che verso i disabili assistiti,
privandoli di un'adeguata tutela sanitaria oltre che riabilitativa. «A tutto
ciò - si legge dagli atti della denuncia presentata alla Procura della
Repubblica di Civitavecchia - si aggiunge la continua inosservanza dei
contratti stipulati con le ditte appaltatrici dei servizi di catering, pulizie
e lavanderia, che a causa dei mancati pagamenti delle relative fatture
interrompono i servizi presso i centri, provocando disagio ai disabili sia dal
punto di vista alimentare che igienico sanitario».
Quando la
Regione paga il Consorzio «i soldi non riescono ad arrivare
ai lavoratori perché vengono requisiti dai fornitori spiega Sabino Venezia del
coordinamento nazionale Rdb Cub -. Il cerchio non riesce a chiudersi, e non lo
farà fin quando il servizio non tornerà alla gestione diretta delle Asl. È
necessario mettere sotto controllo i protocolli di assistenza e il processo
amministrativo, in particolare le fatturazioni. Rischiamo di trovarci davanti a
un ennesimo baraccone che fattura in maniera diversa dalle prestazioni che
eroga. Manca la dovuta trasparenza».
GENITORI E LAVORATORI CHIEDONO LA VERIFICA DELLE
SPESE SOSTENUTE E IL CONTROLLO DELLA RENDICONTAZIONE presentata dalla Ri.rei
alla Regione. «La gestione del servizio da parte del consorzio - si legge dagli
atti della mozione 376 - sembra essere finalizzata solo a far "cassa": ricevere
ingenti somme dalla Regione Lazio e spendere il minimo indispensabile per
ottenere il massimo profitto».
L'associazione chiede alla Regione Lazio la revoca
dell'affidamento alla Ri.rei, l'internalizzazione, seppur temporanea, del
servizio e una gara a evidenza pubblica che permetta di individuare un soggetto
idoneo. «I presupposti della creazione del consorzio erano sostanzialmente due
- dice Guido -: mantenimento dei livelli assistenziali e garanzia di quelli
occupazionali. Entrambi, però, sono stati disattesi». Chiunque conviene
nell'affermare che i disabili psichici non siano cittadini di serie B. Di
fatto, però, queste persone vengono trattate come tali proprio da chi dovrebbe
tutelarli: le istituzioni.