"Vorrei approfittare dello
spazio concesso dalla sua rivista per esternare tutto il mio
malessere, la mia frustrazione, il mio senso d'impotenza di fronte a
un'ingiustizia di dimensioni inimmaginabili, non misurabili, al di
la' dell'umano". Inizia cosi' la lettera di un insegnante,
inviata al direttore di 'Bresciaoggi', per denunciare il caso di
Jamila, il nome e' di fantasia, la ragazza pachistana di 19 anni che
vive a Brescia, segregata dai suoi genitori perche' troppo bella.
"Sono un docente di un istituto superiore di Brescia,
frequentato da un consistente numero di alunni stranieri: indiani,
pakistani, marocchini e magrebini di varia provenienza; ogni giorno
mi immergo in questo bacino di differente umanita' che, Glielo
assicuro, tanto arricchimento e cultura 'trasversale' mi ha saputo
regalare per tutta la durata di quest'anno scolastico ormai agli
sgoccioli", aggiunge.
"Fra le mie classi di competenza ce n'e' una, una prima
superiore: fra gli alunni, uno piu' prezioso e splendido dell'altro
c'e' J. Non scrivero' il suo nome, e non lo faro' per rispetto
perche' temo, e temo fortemente, che anche il solo aggiungere un
sospiro possa peggiorare la situazione di quest'anima. J. e' una
ragazza dolce, sensibilissima, dall'intelligenza cristallina e dalla
voglia di studiare, di capire, di partecipare davvero encomiabili.
J., dopo una situazione di partenza difficoltosa dal punto di vista
didattico, ha saputo da sola risollevare le proprie sorti, arrivando
ad avere un pagellino infraquadrimestrale immacolato, corredato da
una condotta irreprensibile".
J. pero' "ha un 'difetto': e' bellissima. Di una bellezza
magnetica, arcana, indescrivibile. E questo, si sa, spesso diventa
una condanna. J. da piu' di una settimana non viene a scuola. Ha
interrotto la frequenza a causa, a quanto ci e' dato saperne (ma,
ahinoi, siamo nel campo del 'sentito dire'), del volere dei
famigliari, ai quali sarebbe venuto all'orecchio di sguardi,
innamoramenti, dediche d'affetto inconcepibili per l'onore di
genitori e fratelli, i quali l'avrebbero promessa in sposa a un
individuo mai visto che sta nella sua lontana terra natia".
E aggiunge: "I compagni si chiedono intimoriti che fine abbia
fatto J., noi insegnanti, insieme alla scuola, proviamo
incessantemente a contattare la famiglia ai recapiti telefonici
forniti, ma niente da fare. Le ultime notizie arrivateci parlano di
un 'rientro forzato' in Pakistan, previsto per il prossimo lunedi',
destinato quindi ad allontanarla per sempre da tutto quello che J. ha
trovato qui. Grazie al cielo non si deve e non si puo' far di tutta
la proverbiale erba un unico fascio, ed esempi di apertura e
tolleranza in tal senso sono altresi' all'ordine del giorno, ma e'
altrettanto vero che questo caso particolare non solo e' critico...e'
attuale, vero, imprescindibilmente reale".
Poi un interrogativo. "Lo sa, qual e' di tutta questa storia
la cosa che davvero non riesco a mandare giu', quasi fosse non solo
un boccone dal cattivo sapore, ma un bolo davvero troppo grande per
transitare nell'esofago? Il fatto che proprio nel suo ultimo weekend
di scuola, parlando con me, lei si lasciasse andare dicendomi di
quanto sia 'limitante, triste, brutto essere una ragazza pakistana'
di quell'eta', il dover 'vivere per l'onore della propria famiglia e
non per se'', il non poter avere la benche' minima 'liberta' di
andare, di dire, di fare'".
"E io a cercare di rincuorarla, a dirle che anche da noi,
basta guardare indietro qualche decennio, le donne non godevano di
tutta la sacrosanta liberta' che e' possibile riscontrare oggi in
giro e nelle case... che debba arrendermi all'evidenza? Che avesse
davvero ragione lei?", scrive ancora il professore.
"Voglio concludere questa lettera indirizzata con un saluto
proprio a J. Lo scorso weekend, lavorando sul Quotidiano in Classe,
abbiamo analizzato la rubrica delle Lettere al Direttore. In
quell'occasione mi sono premurato di spiegare ai ragazzi che questa
e' 'una delle espressioni della liberta' di ciascuno, che con
educazione e motivando le proprie opinioni ha la possibilita' di far
sapere agli altri il proprio punto di vista'", sottolinea il
docente.
"Se J. possa leggermi non lo so, ma quello che spero con
tutto me stesso e' che le arrivi anche solo un decimo del sentimento
di profonda affezione che provo nei suoi confronti. Anche noi
insegnanti, cosi' vituperati dall'opinione pubblica dopo i tanti
scandali che si sentono ciclicamente dai media, ne siamo ancora,
secondo alcuni imprudentemente, capacissimi", conclude.
Da adnkronos
le ultimissime notizie danno per certo il ritorno a scuola di
jamila, pare che avrebbe accomodato tutto un incontro in Questura tra
i genitori della ragazza ed il console Pakistano
La solidarietà va a questa coraggiosa
ragazza che tempo fa aveva confidato al suo insegnante:
"Temo
di fare la fine di Hina", alludendo ai fatti accaduti nel 2006,
quando una pakistana Hina Saleem, fu uccisa dal padre perché
voleva vivere all'occidentale. Io se fossi stata nell'insegnante mi
sarei limitato a fare avere tramite console i libri alla ragazza,
come primo approccio. Non dicono di chi sia stat l'iniziativa di intervenire così verso la famiglia.
Personalmente non vedo mai con favore questi atti di coraggio portati avanti sulla pelle degli altri. I genitori sono condizionati da secoli di "cultura altra",
concetto verso il quale ci si entusiasma per poi cercare di
cambiarla con violenza come piace a noi, e quella violenza poi si
riversa su soggetti deboli, quali sono le donne in Pakistan, potrebbe non bastare una ramanzina per superare secoli di cultura altra. Ci
sarebbero stati mille "modi altri" e più rispettosi verso
i genitori, visto che non di scuola del'obbligo si tratta.
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1. as a man thinketh in his heart Scritto da
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, il 18-04-2011 11:23 Buondì Marista, quello che mi ha colpito della storia è come un semplice atto d'interesse/attenzione possa dare una decisa virata alla vita di molti. Lei è molto attenta alle dinamiche sociali innescate dagli eurosauri anche e soprattutto a mezzo della multiculturizzazione (mi consenta il termine) e credo che l'arma migliore per difenderci, difendere i nostri valori, la nostra cultura e religione, sia proprio quello di aprirsi e cercare di capire chi ci sta "invadendo". Lo scontro etnico e/o razziale non gioca a nostro favore. Un grande interprete della parola di Cristo, Neville Goddard, disse un giorno che la nazione in cui viviamo la dobbiamo "vedere e sentire" esattamente come vorremmo che sia e non dipingerla con i colori della paura. cordialmente
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