La gente non li ama più, non li segue, non li vuole ed allora? Allora Italia come il Nord Africa: Colpo di Stato, ma da noi vorrebbero fare fuori ogni democrazia, e via la Costituzione, sarebbe d'impiccio...
Stando al pensiero di Asor Rosa d'ora in poi :Il Potere è di chi se
lo prende, sarà la base fondante del nuovo Stato? Napolitano che ne
dice?
Leggiamo attentamente, se abbiamo a
cuore la nostra residuata libertà, il breve testo della trasmissione di
Ferrara, e poi abbiate la pazienza di leggervi il testo dell'articolo
pubblicato sul Manifesto dal Prof Asor Rosa. Altro che Colpo di
Stato, un colpo di Stato dall'alto invoca il Professore, insomma un
"colpo allo Stato", suonerebbe più veritiero, un colpo allo Stato che
prescinda dalla massa dei cittadini e ci cali dall'alto, dai militari e dalla magistratura, certo
prima che se ne risolvano i noti problemi. E la Costituzione? La divisione dei poteri?
Un atto eversivo è quello che si propone, che in quanto tale prescinda da regole e
salvaguardie costituzionali, che congeli le Camere .. insomma,
questa la bella proposta dell'anziano professore: sospendiamo la democrazia, caliamo dall'alto di Istituzioni, nemmeno
loro perfette, le nuove regole, epuriamo, puliamo. Un colpo di
Stato calato dall'alto, che se ne frega dell'equilibrio dei poteri e
che regala ogni potere ai Poteri più Poteri. Insomma il popolo ci ha deluso, non fa le sommosse, e noi gli togliamo la democrazia residua, invece di rafforzarlo, geniale!
ATTENTI C'E' UNA SINISTRA CHE INCORAGGIA IL GOLPE ( Testo puntata di Ferrara)
C’è chi propone di fare un colpo di Stato contro il governo
eletto, il governo eletto dagli italiani, il governo Berlusconi. Si
chiama Alberto Asor Rosa, è stato deputato della sinistra e
professore universitario. Negli anni Settanta militava, diciamo, in
quelle tendenze di pensiero alla Toni Negri contigue culturalmente al
terrorismo italiano. Ecco che cosa ha scritto sul quotidiano
comunista il manifesto di oggi, , perché non vorrei che poi si
dicesse che io mi invento le cose che dico: «Ciò cui io penso è
una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni...
eccetera, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un
normale “stato di emergenza”, si avvale più che di manifestanti
generosi, dei carabinieri e della polizia di Stato, congela le
Camere, sospende tutte le immunità parlamentari...» eccetera
eccetera eccetera. Insomma, un colpo di Stato in piena regola contro
il governo eletto dagli italiani.
Siamo finalmente alla piena, diciamo dispiegata chiarezza di un
progetto politico che molti altri editorialisti, questa volta di
Repubblica, avevano già definito anche nella famosa assemblea del
Palasharp, dove un ragazzino di tredici anni fu convocato a recitare
la litania dell’odio contro l’arcinemico. Che cosa dicono
costoro? Dicono che siccome lui, Berlusconi, ha rimbecillito gli
italiani con le televisioni, siccome con i voti non credono di essere
in grado di batterlo alle elezioni, siccome in Parlamento non c’è
una maggioranza alternativa e invece di lavorare per trovare una
maggioranza alternativa nel Paese e nel Parlamento e varare un
governo come sono stati i due governi Prodi - Prodi ha battuto due
volte Berlusconi, no? -, bisogna fare qualcosa di extra
istituzionale. E Asor Rosa, il professor Asor Rosa, quest’uomo con
questi baffi sicuri di sé e questa prosa non proprio elegantissima,
dice che cosa bisogna fare: un golpe con i carabinieri e la polizia
di Stato, che venga dall’alto contro il basso popolo incapace di
capire come stanno le cose.
Un golpe delle élite, un golpe favorito dagli intellettuali e
dalle loro idee. Un golpe che, diciamo, sarebbe un esproprio di
sovranità ai danni del popolo italiano. Guardate che non sto
scherzando, Asor Rosa non è un passante, ripeto, è stato un
dirigente politico della sinistra, fa parte diciamo di quella che
potremmo definire la cricca Scalfari, cioè il gruppo di potere
editoriale e, se posso consentirmi, lobbistico che in simbiosi con i
magistrati cerca, non di portare Berlusconi ai processi, ma di
abbattere Berlusconi in quanto capo politico del governo. L’Italia
è una democrazia regolare, tra poco vedremo una partita e vogliamo
stare tutti tranquilli e andare a dormire tranquilli, però c’è
chi lavora per un colpo di Stato.
Non c 'è più tempo
di Alberto Asor Rosa (il
Manifesto)
Capisco sempre meno quel che accade nel nostro
paese. La domanda è: a che punto è la dissoluzione del sistema
democratico in Italia? La risposta è decisiva anche per lo
svolgimento successivo del discorso. Riformulo più
circostanziatamente la domanda: quel che sta accadendo è frutto di
una lotta politica «normale», nel rispetto sostanziale delle
regole, anche se con qualche effetto perverso, e tale dunque da poter
dare luogo, nel momento a ciò delegato, ad un mutamento della
maggioranza parlamentare e dunque del governo?
Oppure si tratta di
una crisi strutturale del sistema, uno snaturamento radicale delle
regole in nome della cosiddetta «sovranità popolare», la fine
della separazione dei poteri, la mortificazione di ogni forma di
«pubblico» (scuola, giustizia, forze armate, forze dell'ordine,
apparati dello stato, ecc.), e in ultima analisi la creazione di un
nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più
possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra
civile) uscire?
Io propendo per la seconda ipotesi (sarei davvero
lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se
qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a
pietiner sur piace, mi persuadesse, - ma con seri argomenti –
del contrario).
Trovo perciò sempre più insensato, e per molti
versi disdicevole, che ci si indigni e ci si adiri per i semplici
«vaff...» » lanciati da un Ministro al Presidente della Camera,
quando è evidente che si tratta soltanto delle ovvie e necessarie
increspature superficiali, al massimo i segnali premonitori, del mare
d'immondizia sottostante, che, invece d'essere aggredito ed
eliminato, continua come a Napoli a dilagare.
Se le cose invece
stanno come dico io, ne scaturisce di conseguenza una seconda
domanda: quand'è che un sistema democratico, preoccupato della
propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo
distrugge, - o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la
storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.
Chi avrebbe avuto
qualcosa da dire sul piano storico e politi co se Vittorio Emanuele
II, nell'autunno del 1922, avesse schierato l'Armata a impedire la
marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hindrburg nel gennaio
1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in
precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla
Reichswehr di far rispettare la sua decisione?
C'è sempre un
momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per
propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la
forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della
democrazia e a renderle irrimediabili (la collusione di Vittorio
Emanuele, la stanchezza premortuaria di Hinderburg).
Le
democrazie, se collassano, non collassano sempre per le stesse
ragioni e con i medesimi modi. Il tempo, poi, ne inventa sempre di
nuove, e l'Italia; come si sa e come si torna oggi a vedere, è
fervida incubatrice di tali mortifere esperienze. Oggi in Italia
accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso
il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il
«conflitto di interessi» quando si poteva!) e può contare oggi su
di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe
disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I
mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni
giorno l'area della corruzione, al centro come in periferia:
l'anormalità della situazione è tale che rebus sic stantibus, i
margini del consenso alla lobby affaristico-delinquenziale
all'interno delle istituzioni parlamentari, invece di diminuire, come
sarebbe lecito aspettarsi, aumentano.
E' stata fatta la prova di
arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è
visto che è fallita (aumentando anche con questa esperienza
vertiginosamente i rischi del degrado).
La situazione, dunque, è
più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si
potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via
democratica, il tarlo è dentro, non fuori.
Se le cose stanno
così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la
democrazia si annulla da sè invece che per una brutale spinta
esterna? Di sicuro l'alternativa che si presenta è: o si lascia che
le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale
delle regole democratiche (per es., l'esistenza di una maggioranza
parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e
ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel
rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di
diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del
«pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare
sempre presente, dell'alternanza di governo), chiudendo di forza
questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un'altra
tutta diversa.
Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel
momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna
indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso
il precipizio. Come?
Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una
prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o,
ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la
pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile
del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente
dimostrato, non sufficiente.
Ciò cui io penso è invece una prova
di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che
promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema
repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un
normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti
generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere,
sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla
magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce
d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre
il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza
della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del
prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce
l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo
approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla
pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva,
anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la
storia si ripeta stanno rapidamente sfumando. Se non saranno colte,
la storia si ripeterà. E se si ripeterà, non ci resterà che
dolercene. Ma in questo genere di cose, ci se ne può dolere, solo
quando ormai è diventato inutile farlo. Dio non voglia che, quando
fra due o tre anni lo sapremo con definitiva certezza (insomma:
l'Italia del '24, la Germania del febbraio '33), non ci resti che
dolercene.
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