di Vanna Brocca (Direttore responsabile del giornale della
Leal – Lega antivivisezionista “La voce dei senza voce”)
C’è qualcosa di strano, qualcosa che non quadra tra il
vertiginoso sviluppo tecnologico che è la cifra del nostro tempo e
la “voglia di animali” che esprimono i protagonisti della ricerca
chimica e farmaceutica. In nessun altro settore scientifico i
protocolli sperimentali sono ancora gli stessi di 50 o 60 anni fa.
Qui invece sì: ed è tanto più sconcertante quanto più controversi
sono i risultati che così si ottengono.
L’analisi di ventinove studi eseguiti sulla trielina ha messo a
nudo un’allarmante cacofonia di voci: “Sei studi l’hanno
giudicata non-cancerogena; dieci l’hanno trovata cancerogena per
gli animali ma difficilmente cancerogena per gli umani;
nove hanno
stimato che fosse un possibile fattore cancerogeno per l’uomo ma
senza riscontri epidemiologici; quattro lo hanno valutato
presumibilmente cancerogeno per l’uomo con positivi riscontri
epidemiologici”. A riferirlo è uno dei più noti tossicologi al
mondo, Thomas Hartung, che dal 2002 al 2008 è stato
a capo dell’Ecvam, il Centro europeo per la convalida dei metodi
alternativi e ora dirige il Caat, Centro per le alternative ai test
con gli animali della Johns Hopkins University, e
insegna all’Università di Costanza.
Ma prendiamo un rimedio familiare, il cortisone: quando si scopre
che nuoce agli embrioni di tutte le specie animali eccetto l’uomo,
come giudicare la capacità predittiva dei test che utilizziamo? Se
lo chiede un altro tossicologo, il professor Horst Spielmann
della Freie Universitat di Berlino.
I partigiani dell’alternativa al modello animale si moltiplicano
anche nel campo della medicina e della farmacologia. Specializzato
nello studio della sclerosi laterale amiotrofica, Michael
Benatar, neurologo della Emory University di
Atlanta, in Georgia, ha fatto suo il senso di impotenza che
serpeggia tra i colleghi alle prese con le gravi malattie
degenerative di questo secolo. “Ma la disperazione che talvolta
avvertiamo– ha dichiarato Benatar al giornalista di Nature
che lo intervistava – non è un buon motivo per continuare
a utilizzare un modello inadeguato. La verità è che ci comportiamo
come il proverbiale ubriacone che si ostina a cercare le chiavi di
casa sotto al lampione solo perché lì c’è più luce”. Lo
stesso pensava, già nel 2004, Robert Weinberg, il
professore di biologia del Mit scopritore del primo
oncogene umano: “Nello studio del cancro – ha dichiarato in
quell’anno al periodico Fortune – uno dei modelli sperimentali
più frequentemente usati consiste nell’innestare delle cellule
tumorali in un topo trattato con immunosoppressori e poi esporre il
tumore che ne deriva a un ventaglio trattamenti che si pensano utili
per l’uomo. Sono i cosiddetti modelli preclinici. Ma da almeno un
decennio, forse due, sappiamo che hanno uno scarsissimo potere
predittivo circa le effettive reazioni del tumore nell’uomo”.
La sperimentazione animale è costellata di dolore e di
incongruenze. Se nel 1899 avesse dovuto superare i test che oggi sono
obbligatori, addio aspirina. Infatti l’acido
acetilsalicilico agli animali fa malissimo: è causa di gravi
malformazioni negli embrioni dei cani, dei gatti, delle scimmie, dei
topi, dei conigli e dei ratti, inoltre è pericolosa se ingoiata,
irritante per le vie respiratorie e per la pelle, sospettata di
mutagenicità. Per lo stesso motivo la penicillina, che era stata
scoperta nel 1929, non fu usata fino a un decennio dopo perché non
serviva a curare le infezioni dei conigli, e se fosse stata testata
su gatti e cavie, l’avrebbero scartata perché tossica.
C’è anche un rovescio della medaglia. Il fumo di sigaretta non
nuoce agli animali, ecco perché ci sono voluti decenni per
comprovare la sua cancerogenicità per l’uomo. E la talidomide, che
provocò la nascita di oltre diecimila bambini con gli arti deformi,
sulla maggior parte delle specie animali risulta innocua. E poi c’è
l’anti-infiammatorio Vioxx che avrebbe fatto dalle
89.000 alle 139.000 vittime, colpite da infarto del miocardio, pur
avendo superato brillantemente tutti i test con gli animali. E il
rimedio-meraviglia per la leucemia, quel TGN1412 che quattro anni fa
ha provocato il repentino collasso di tutti gli organi interni dei
sei volontari che si erano prestati a sperimentarlo: eppure sulle
scimmie sembrava un portento…
Quando Thomas Hartung, nel luglio dell’anno
scorso scrisse su Nature che gli esseri umani non sono ratti
di 70 kg fece scalpore. Perché diceva una cosa che molti pensano ma
dicono solo in privato o nel giro ristretto dei colleghi. E perché
per superare l’impasse aggiungeva una proposta concreta, non
dissimile da quella avanzata due anni prima dal Rapporto dell’Epa
americana a favore di una “tossicologia degna del XXI secolo”.
Certo, la via dei metodi sostitutivi non è solo costellata di fiori.
“Ma è l’unica strada – dice il direttore del
Caat – che si può ragionevolmente imboccare per progredire e fare
buona scienza”.
Nel nostro futuro, insomma, ci dovrebbe essere un nuovo paradigma
scientifico. Invece, cancellate tutte le norme che incentivavano lo
sviluppo e l’adozione dei metodi sostitutivi, tagliata com’è a
misura di vivisettore, la Direttiva che sarà presto votata a
Strasburgo va nella direzione opposta. Sarebbe inutile chiedere ai
grandi gruppi chimici e farmaceutici di dimenticarsi dei profitti
aziendali per dar prova di coraggio e visione. E’ però un dovere
pretendere visione e coraggio dai politici che ci rappresentano.
Fonte : il Fatto quotidiano
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