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Anna Alessandrino (recensione):" Teresa e la luna", di Carla Marcone. PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
domenica 04 marzo 2012

teresa e la luna
Teresa e la luna. Già, la luna! E’ a lei che è fisso lo sguardo di Teresa quella notte, come ogni notte ultimamente.

   La mano sul petto, come a stringere un pezzo del suo cuore che ora è proprio là, fra le stelle e quella luna che la guarda da oltre la finestra, quella luna che se avesse braccia la stringerebbe a sé, se avesse mani le asciugherebbe le lacrime che le solcano il viso.

   Teresa e la luna, la luna e Teresa, Teresa che è madre, Teresa che madre non è più.

  “Dove sei Lina, dove sei amore di mamma! Cosa sarò senza te, adesso?”

   Chiude gli occhi Teresa. E' stanca.

   Un vento leggero pare accarezzarla e la voce nell’orecchio è un sussurro.

   “Mamma…mamma  sono io…Mamma non piangere io sto bene…davvero… mamma ascolta…voglio che torni ad ascoltare.”

   Apre gli occhi, Teresa. Ma non c’è nessuno. Eppure era la sua voce, della sua bimba. Il cuore in subbuglio. La chiama, “ Lina…Lina…”.

   E d’un tratto svanisce il silenzio e si fa sempre più rumorosa e vivace la voce del povero mondo dei bassi napoletani, quello che vive come in una corte dei miracoli.

   E una profonda pietà la invade. E comprende.



 

   Ecco, così ho immaginato una delle pagine più belle del libro di Carla Marcone, “ Teresa e la luna”, perché Carla, oltre che per il suo stile ricco e scorrevole e il linguaggio poetico, colpisce il lettore per il calore e l’amore che mette nel descrivere non solo Teresa, ma tutti i personaggi che nel romanzo ruotano con lei e intorno a lei, tanto da spingerlo (il lettore) a vivere i sentimenti, le emozioni e la realtà viva e pulsante di questo o di quel personaggio.

   Carla ce li fa amare questi personaggi, reali e di fantasia, che dipinge con pennellate rapide e sapienti, tanto da farci cogliere anche il più piccolo particolare. Ed è così che si guarda il marito di Teresa, Vincenzo, che l’ama al punto da schierarsi sempre e comunque dalla sua parte; il  guappo Michele,’o Belzebù; il servo Raffaele, dagli occhi azzurri come il mare; la prostituta Maddalena, che mette sotto i piedi la propria dignità nell'indifferenza della gente; il buon gobbo Alfonso Casanova, che è causa di brusiii della più cupa superstizione; l’amica Paolina Craver.

 

   Ma torniamo ancora a Teresa.

 

   Teresa ora è forte, e troverà nel dolore la forza per rimettersi in gioco e ridare orgoglio a Napoli e alla sua gente.

   Sa cosa fare, sa che deve scendere tra quella umanità per cercare di alleviare la miseria ai più deboli, per aiutare le donne a riprendersi la propria dignità e per curare i bambini orfani, malati, affamati e lasciati al proprio destino in una città, che alle soglie dell’Unità, è decimata dal colera.

   Così, mentre gli arricchiti ignoranti ostentano la loro ricchezza e i nobili difendono il loro blasone, lei corre nei vicoli lerci, incurante di tutto e di tutti, dedicandosi anima e corpo a curare, ad attrezzare cucine, a istruire soprattutto, perché sa che la miseria si può eliminare se si elimina prima di tutto l’ignoranza. E' l'unica strada per garantire a tutti una vita più umana.

  Una cosa ha, però, a cuore più di tutto: curare dal colera i bambini ammalati e lottando contro mille ostacoli, Teresa, da molti considerata pazza, è decisa a farsi ascoltare da chi potrebbe aiutarla, dato che vuole costruire un ospedale su ciò che resta di una ex caserma dell’esercito borbonico. E quando ha tutte le autorizzazioni, per portare a termine questo progetto, appoggiata dal marito, impegna la sua dote finchè, “ carriola dopo carriola”, nel 1880 viene inaugurato il primo ospedale di Napoli per malattie infettive, dedicato alla memoria della figlia Lina.

   Sarà attivo per molti anni, questo ospedale, ma dal 1975 verrà smembrato, fino a divenire un palazzo “offeso da mozziconi di sigarette e gomma da masticare, e da pareti di plastica e alluminio che delimitano uffici e scartoffie, senza vita, senza calore, senza cuore". E Teresa? Teresa forse si aggirerà incredula tra quelle stanze, cercando inutilmente un bambino da accarezzare e da consolare.

 

   Carla Marcone ci regala dunque uno splendido ritratto di donna, una donna straordinariamente

coraggiosa e testarda che interagisce con gli avvenimenti storici di una Napoli che vive gli ultimi anni del governo borbonico e quelli immediatamente dopo l’Unità. È una donna che si impara ad amare perché non perde mai la speranza e accetta tutto di questa città : il bene e il male, la leggerezza e la superstizione, la nobiltà e la corruzione; né si atteggia a giudice, anzi si rimbocca le maniche e “fatica” perché sa che solo con l’amore e l’esempio qualcosa può cambiare.

   E ci insegna a guardare oltre quei muri e a impietosirci e a commuoverci con lei…anzi con loro: con Teresa e Carla.

 

   Dimenticavo di dirvi che Teresa è realmente vissuta: è Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri (1826-1903), figlia del generale Carlo, nipote del filosofo e giurista Gaetano Filangieri  e sposa di Vincenzo, duca di Roccapiemonte. Teresa oltre a interessarsi di attività filantropiche, fu anche scrittrice.

                                                                     Anna Alessandrino


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