Profumo di P A N E sardo
Raccontare il PANE di Sardegna
vuol dire addentrarsi in un sacrario, bisogna farlo in punta di piedi.
Il pane, in Sardegna, è un
alimento indispensabile, (sicuramente lo è in tutto il mondo, ma ora sto
parlando del pane nella mia isola!); la sua importanza va oltre il valore
nutrizionale.
Il Pane è : tradizione, ricordo,
amore, sacrificio, una volta .... stato sociale.
I ricordi mi proiettano indietro
nel tempo...
Il grano, che veniva portato al
mulino, luogo affascinante, pieno di rumori caratteristici di cui sento ancora
l'eco malgrado sia trascorso quasi mezzo secolo, era accatastato nel solaio,
sopra c'era il lettone dove dormivano le mie zie. Ricordo questo mucchio enorme
di grano biondo sparso nelle tavole che costituivano il pavimento (su intabau).
A quei tempi non era una strana
consuetudine, dormire sopra il grano, oggi sarebbe stata la causa di mille
starnuti...c'era una polvere e odore particolare, si miscelavano agli odori
delle ceste appese (crobisi) alle pareti, alcune dal diametro di almeno 1 metro e mezzo, basse e
larghe, venivano usate per mettere la pasta del pane a lievitare dopo che, mani
pazienti, l'avevano resa a pezzature tutte uguali, semisferiche, lisce, morbide
come i seni gonfi di latte delle mamme.
Il pane è espressione di festa,
buon auspicio.
In questo contesto veniva
confezionato in forme diverse, spesso con
strane forme o raffiguranti
piccoli animali, uccelli.
Il pane di "pasta dura" in sardo
coccoj, veniva forgiato a mò di coroncina fiorita, le punte lavorate come
un pizzo delicato.
Era il tipico pane degli sposi.
In senso beneaugurante voleva
intendere "Che non vi manchi mai il necessario".
Le nozze venivano benedette non
solo dalle famiglie ma anche dai vicini di casa, che omaggiavano la coppia
portando in dono il pane così lavorato e adornato di fiori (pervinche), carta
colorata smerlettata, tutto era una specie di rito propiziatorio.
A Pasqua noi bambini avevamo la
nostra coroncina di pane oppure un uccellino con l'uovo sodo incastonato sul dorso. Non avevamo l'uovo di
cioccolato con sorpresa, ma era bello lo stesso.
Ma il pane speciale, non era
solo sinonimo di festa, c'era (e forse
c'è ancora) l'usanza di preparare il pane nero (integrale) in occasione di un
lutto, significava la tristezza dell'abbandono.
Il nero...perenne per le vedove
e le madri orfane di figli morti precocemente.
Ondate di ricordi mi portano
nella cucina dove mia madre con le mie zie (sue sorelle), avvolte nei
grembiuloni bianchi lavoravano, impastavano la farina, tutto in religioso
silenzio, come se il chiacchiericcio potesse, in qualche modo disturbare il
rito.
Chi entrava in cucina, venendo
da fuori salutava con "Deusu si castidi" (Che Dio vi guardi), la
risposta era " Amen" (così sia!)
Mentre il saluto di commiato,
dopo che il lavoro terminava era:
"Atra botasa"(Alla
prossima volta). La risposta: " Deusu Bollada" (Dio voglia!).
Scambiavo queste impressioni con
le amichette di un tempo.
Venivo così a sapere che la tal
zia quella volta non la fecero partecipare alla lavorazione del pane perché
......"Ha quelle cose"! ... Mistero! Svelato, poi, nel tempo.
La donna mestruata era bene non
toccasse il prezioso impasto.
Veniva relegata ...in "fonderia"
a sfornare, con la lunga pala piatta, il pane cotto e fragrante, compito che di
solito era riservato alle madri o in assenza, alla zia più "grande", quella che
sapeva fare meglio, che sapeva tutto.
Nel mio caso era zia Peppa,
allora giovane, zitella poi, arcigna, severa, carabiniera mancata.
Con noi nipoti usava dire:
"tutti fermi, tutti zitti, non
toccate..." forse pensava.."non respirate" ma per amore di pace famigliare
evitava di aggiungere la frase alla lista dei rimbrotti.
(oggi zia Peppa ha appena
compiuto 85 anni...non è cambiata!)
Il pane di ogni giorno era ed è,
ancora oggi, di forma semi tonda (su civraxiu) lo ricordo di grandi
dimensioni, (ma forse ero io troppo piccola), le grandi pezzature dovevano
servire per sfamare famiglie numerose.
Il pane doveva mantenersi fresco
a lungo, in modo particolare quello che i pastori portavano nei luoghi di
pascolo.
Allora si preparava il pane carasau
(carta da musica), sottili sfoglie di pasta non lievitata cotta due volte,
questa doppia cottura serviva affinché la sfoglia ottenuta perdesse l'umidità,
durando per settimane, a volte anche mesi.
I pastori lo consumavano
inumidito, condito con formaggi o ricotta, pomodori e uva (pani frattau).
Il tutto veniva accompagnato
dall'immancabile vino cannonau.
Il vino di nonno, generalmente,
era maturo per...condire l'insalata, aveva un vago sapore di aceto!
Tenero nonno! Lui non buttava
via nulla, nemmeno il vino imbevibile!
Pane come stato sociale. Mi
riferisco agli anni '50-'60.
Chi aveva la sicurezza di avere
il pane tutti i giorni erano sicuramente i contadini, una classe di persone che
nulla chiedevano e poco avevano da dare.
Un aneddoto famigliare forse
farà capire meglio:
Mia madre era figlia di un
contadino.
Mio babbo figlio di minatori; quando tirava fuori
velleità da cittadino usava parole, a dir poco sprezzanti, nei confronti di chi
aveva origini agro pastorali, mia madre lo tacitava con queste lapidarie
parole:
" A noi il pane non c'è mai
mancato, nemmeno durante i bombardamenti*, voi non avevate nemmeno quello!"
Il saccente babbo doveva solo
tacere perché chi comandava in casa
era la donna.
Comandava perché faceva i figli,
li allevava con amore e con tanti sacrifici, li educava secondo sani
principi,....non ultimo: sapeva fare il pane!
Queste sono reminiscenze, sembra
quasi fantasia..c'è ancora chi fa il pane in casa sfruttando l'antico sapere
raccontato, ma non è come allora...la legna con cui si scalda il forno non ha
lo stesso aroma, l'acqua non possiede la stessa purezza.
Tutto questo poco importa, posso
dire: " Io ho vissuto tutto questo per poterlo raccontare qui."
Grazie Marista.
* in riferimento alla seconda guerra mondiale
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1. sa pillunca Scritto da
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, il 01-11-2009 19:36 Un grazie a te per aver aggiunto i tuoi preziosi ricordi. un bacio. Mariella
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2. il pane "pillunca" Scritto da
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, il 01-11-2009 17:23 Cara Mariella, belissimo questo brano sul pane, ti volevo solo aggiungere che quando io ero piccola nel solaio, oltre a grano, c'erano le fave, l'orzo e l'avena (sa saia)e il pane carasau nel campidano si chiamava "pillunca". Che bei ricordi! Grazie Annetta
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3. il pane.... Scritto da
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, il 14-09-2009 09:03 Ciao Sima, leggo le tue parole, ti ringrazio a nome delle donne sarde che definisci meravigliose! Si, hai detto giusto! ho cercato di far "vedere" attraverso le parole quello che io vedo della Sardegna, la mia è una visione "dall'elicottero", cerco di notare lo spazio sconfinato, planando di volta in volta là dove voglio vedere più da vicino. Un abbraccio. Mariella. (Se hai desiderio di conoscere altro, chiedi! Chissà, magari riesco a farti "vedere" altro.)
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4. il pane.................. Scritto da
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, il 13-09-2009 21:10 Che bello questo articolo, io che conosco la sardegna abbastanza bene anche al di fuori dei luoghi turistici (parlo dei piccoli paesi dell'interno),l'ho visto fare non moltisimi anni fa e ho rivissuto le facce, le atmosfere, la sapienza e la forza delle donne sarde, MERAVIGLIOSE! Davvero mi complimento con mariella, l'autrice del pezzo, che ha saputo farci "vedere" questo rito sapiente e antico. Grazie!
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5. profumo di pane sardo Scritto da
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, il 11-09-2009 14:14 Ciao Santina, il fatto che questo mio ricordo abbia suscitato in te episodi della tua vita in Sardegna, vuole dire che ho raggiunto l'obiettivo.Forse anche tu hai storie di vita da condividere e che possono far sognare. Un abbraccio. Mariella.
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6. profumo di pane sardo Scritto da santina, il 10-09-2009 21:25 ciao: quante belle cose sulle tradizioni. io sono nata in sardegna e tanta cose nel leggerle mi sono ritornate in mente, riguardante il pane e come lavorarlo, dalle mie parti era il pane di nozze, farina di grano duro e il pane lavorato a festa.
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7. profumo di..pane Scritto da
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, il 07-09-2009 09:11 un grazie davvero a Marista e alle belle parole di Paolo per il quale ho suscitato ricordi di vita. Passare davanti a una panetteria risveglia quello che ho cercato di "disegnare" per rendere tridimensionale la "visione" dei ricordi. Cercherò ancora nei cassetti della memoria, magari quelli appena chiusi, sperando di trovare una porzione di Sardegna felice...non sarà un impresa facile ma...non è detto! un abbraccio. Mariella
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8. profumo di pane Scritto da
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, il 06-09-2009 01:45 Paolo, son contenta ti sia piaciuto questo racconto e che abbia risvegliato i ricordi, solo che l'autore è una amica sarda, Mariella, visto come è brava?Da brividi. Su che facciamo gruppo, quello degli innammorati della isola più bella possibile e della isola che ancora non c'è:la Sardegna felice, comè sarà la Sardegna felice, non lo so, sarà come i Sardi la vorranno spero..ciao
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9. profumo di pane sardo Scritto da
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, il 06-09-2009 01:23 marista,grazie di questa favola io lo vissuta anche se erano i primi anni 70 quando ho messo piede in sardegna e..bene si!il tuo racconto disegna magistralmente il rito del pane non dimentico il profumo che si sentiva nelle viuzze e le zie con la gonna lunga nera ed il capo coperto con un fular altretanto nero(il che significava ch'era a lutto.....comunque termino e ti auguro una felice domenica (quanti ricordi)p.s
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10. Mariella Scritto da
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, il 05-09-2009 21:24 Mariella sono io che debbo ringraziarti, mi fai rivivere i pochi ricordi che conservo come preziosi delle mie escursioni dal continente alla Sardegna, terra amata in ogni caso per come me la raccontava mio padre. E grazie a te per le cose interessanti e poetiche che sai così magistralmente raccontare, grazie amica mia. Marista
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