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La mia Santa Marinella PDF Stampa E-mail

Scritto da Marista Urru   
giovedì 19 febbraio 2009

Santa Marinella è  un mio vecchio amore,  l’estate dai miei primi anni di vita trascorreva qui. Da giovane sono stata anche un po’  canzonata  dai miei coetanei per questa passioncella.

 

I miei amici che come  me vi trascorrevano la  villeggiatura sin da bambini, per lo più nutrivano per  questa cittadina la indifferenza che si prova per qualcosa che si possiede,  per molti di loro era un po’ come una vecchia moglie che  sta lì, immutevole e maledettamente tua “per sempre”, e loro  avevano fame di nuovo e di avventura.

 A me invece  Santa Marinella   dava l’idea di un mondo a parte, in bilico tra vecchio e nuovo e per questo  pericolosamente instabile , a rischio sparizione. E difatti  tornando ogni anno vedevo sparire inesorabilmente angoletti che a me parevano degni di esser conservati, lì un albero, là una roccia, dove una colata di cemento a coprire gli scogli e man mano sparire le  vecchie casette mediterranee che avevano proporzioni ed aspetto ottimali per il paesaggio ove si inserivano senza usargli violenza in una armonia rotta solo dal sistema stradale  fatto di viottoli  pieni di buche e sassi, polverosi e per lo più non accuditi.

 

Ed era inevitabile che  gran parte della mia Santa Marinella  sparisse , il modo ed i perché il cambiamento e l’ammodernamento è stato a volte ottenuto violentando ed imbruttendo l’esistente, non sta a me raccontarlo, ne so troppo poco.

 

Pure la cittadina resta graziosa, neanche la mano pesante usata qua e la da chi neanche sapeva guardarsi intorno e capire che  cosa stava in  realtà rovinando, è riuscita ad uccidere questo paese e la sua bellezza, la sua grazia innata fatta di colori, profumi, paesaggi, di  natura che non vuole morire e resiste agli attacchi del nuovo che avanza. Rimane sempre a mio avviso il sito più accattivante e bello, ricco di luoghi segreti , angoli e vedute, attimi di colore e suono, di questo tratto di costa.

 



veduta tipo di case a schiera, potrebbero esser ovunque, manufatti disumanizzanti  e spesso orribili che fanno comodo solo ai costruttori, brutti e costosi per noi.






 Di cosa era fatto  a ben vedere il mio piccolo mondo in bilico? Debbo esser onesta, non saprei dire con precisione: un glicine, un angolo di spiaggia ormai perso nel cemento, la  risacca tra scogli ormai  perduti, un campo  di garofani accanto ad  una distesa di  grano coperti ormai  da case a schiera, i chioschi di bibite sulla spiaggia ed i loro padroni, persone particolari tutti.

In cosa consistesse  la particolarità è presto detto:  si vedeva la vita vissuta sui volti, nelle rughe, negli occhi, sentimenti e risentimenti, dolore e amore,  personaggi vivi  il cui ricordo pare perso, ed è un peccato.

 E ricordo i campi di fiori e i  canti dei bambini delle colonie estive condotti in file ordinate da suorine compunte ai bagni. Ricordo con nostalgia  gli alti banchi di alghe arenate sulle spiaggia da cui  buttarsi e rotolarsi, i bassi fondali ricchi di pesci, polpetti, granchi, gamberetti. Le case erano poche come le ville,  e ci si conosceva tutti, villeggianti e no, così che  noi bambini ci si ritrovava ogni anno , rinnovando  e rompendo  amicizie e gruppi.

La memoria mi rimanda profumi, colori, immagini,   pennellate di un quadro ricco e variegato in cui trovano posto personaggi locali indimenticabili. La Gatta e la  Bavosa, così soprannominata per l’andamento all’ingiù delle labbra carnose, Arturo e le sue barche, Iroldo e Silvana,  Pasqualina e Renato, Fedora, Zio Cesare dagli incredibili occhi da bambino e l’animo pieno di poesia, e tanti altri: la lotta per la vita, l’amore  per i figli, la casa, la terra, il mare.. tutto era su quei visi, ci leggevi su quelle facce che qualunque fosse il loro vissuto, il rispetto per quelle donne, per quegli uomini, era dovuto.

 

Tutte queste e molte altre  persone ricordo,  che a me apparivano speciali e  che amavo in un certo modo, un microcosmo racchiuso in uno spazio certo meno disumanizzante della città, meno teso, e soprattutto abitato da umani  veri e genuini, meno presi da quella stanchezza sfuggente che avvelenava già i Romani e che  sempre più spesso coglievo nei loro figli e nipoti.

 

Un mondo finito, come normale  che sia, ma il cui ricordo a volte  sbiadito e a tratti vivido conservo  con l’ affetto che  si deve al ricordo della propria gioventù, ma che mi fa considerare quello che già mi sembra di aver scritto mesi fa: noi spesso parliamo , mostriamo  città e paesi, foto, panorami,  ma dimentichiamo il “fattore umano”, mi mette una estrema tristezza vedere foto delle nostre cittadine prese all’alba squallide e deserte, quasi che solo le case, le strade ed i monumenti abbiano una valenza.

 Io mi sono convinta che  niente come un piccolo centro  si può comprendere  a fondo solo legandolo al suo passato , un filo indissolubile  lega   le persone che lo hanno vissuto a quelle  che lo  vivono nel presente, e va colto quel filo e custodito.

 Ogni paese o cittadina è  un unicum nella sua sostanza, e la unicità è data da coloro che lo hanno abitato, amato, costruito o magari  demolito,un luogo  è quel che è solo in quanto è stato abitato, forgiato, modificato, abbellito o imbruttito,  da quelle e non altre “persone”.

 

 E mi sembra di ravvisare in alcuni angoli della attuale Santa Marinella voluti e pensati senza una  colleganza a persone e passato, angoli di assoluta non –vita, angoli né vivi né morti in cui niente  ti invita a sostare, niente ti suscita  alcun moto di mente o di cuore, ed infatti restano desolati e deserti:piazzole, stradoni buoni per  qualche gatto o qualche cane che fa il giro serale, belli o brutti, non conta, son vuoti contenitori inerti e tristi , che hanno esaurito la loro funzione al momento in cui sono stati costruiti, e si vede.

Questo credo sia l’enorme pericolo che molte località ormai corrono:  la dimenticanza, il gelo  e la disumana logica del profitto minuto, che  rischia di creare luoghi morti, di fronte  ai quali non resta che fare marcia indietro verso lidi più ospitali, come per primi fanno molti dei nostri giovani.

Non c’è che dire, ogni pianta senza radici muore, ed ogni opera, strada, ufficio, palazzina, villetta, sradicata dal sentimento del luogo, rischia di diventare vuoto appiccicume, bello o brutto conta niente se non altro esprime  che un conto in banca per alcuni lasciando agli altri uno squallido nulla che rischia di avanzare, proprio come il  NULLA di un vecchi film : “ La storia infinita”  che narra la lotta tra il bene ed il male visto questo ultimo con felice intuizione come un NULLA che avanza ed inghiotte bellezza e sentimento, amore e solidarietà.

 

Questo rischiano le piccole cittadine, che il nulla avanzi, inghiottendo il Paese, respingendo i giovani più fattivi, mentre il passato muore ed il presente slegato dal passato si riduce a produrre  vuoti contenitori  di case/ dormitorio.

 

 

 


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