Nella moderna Marina Mercantile a
volte la vita dell'equipaggio vale meno di una manciata di dollari
Dopo lo sciagurato episodio dei 12
pontoni lasciati a briglia sciolta nella stiva di modo che durante
un Uragano fortissimo nel mare Cantabrico, avevano provocato danni
alla nave sino ad indebolirne le strutture, costringendomi a
prendere in mano la situazione e poi, arrivati a destinazione vivi
per miracolo, a chiedere una ispezione da parte della Società di
Classificazione e l'invio di un Ispettore dell’assicurazione per
determinare i danni, il Comandante e il suo degno eroe
cominciarono ad evitarmi come se avessi addosso la peste bubbonica.
Lo strano episodio della zavorra
fantasma
La cosa in realtà mi andava molto a genio, dal
canto mio però da allora in poi mi proposi di tenere gli occhi ben
aperti su tutto quello che quei due avrebbero combinato in coperta
e nella stiva.
Grazie alle
peripezie e alla scampagnata navale di quello scemo di comandante,
che ci aveva portato a circumnavigare quasi tutta la costa
francese e spagnola del fottuto Golfo della Biscaglia, avevamo perso
una buona settimana di tempo, e questo per il noleggiatore della nave
si traduceva senz’altro in un minimo di centomila dollari di nolo
persi. Quest’ultimo fatto era per me alquanto relativo, a ragion
del vero non mi interessava proprio, per il momento avevamo salva la
nostra ghirba e il resto non mi riguardava.
Cinque giorni dopo la nostra partenza
da Bilbao, verso le otto del mattino, attraccammo a Segundo, e le
operazioni di scarico iniziarono in un modo cosi tempestivo, che ne
rimasi alquanto sorpreso, comuque cominciai subito a riempire le mie
cisterne di zavorra con l’acqua del porto.
Dagli scaricatori appresi che la
fabbrica che aspettava il nostro carico aveva ancora materiale per
due ore, poi avrebbe dovuto fermare ogni attività produttiva, il che
alle varie Assicurazioni sarebbe venuto a costare un occhio della
testa.
Le due gru che dovevano scaricare la
nostra nave svuotarono la stiva in meno di 12 ore, cosi la sera
stessa, su un mare che sembrava uno specchio, salpammo alla volta
di Antes sul fiume Ronna nei pressi di Marsiglia, in Francia, dove
dovevamo caricare 3500 tonnellate di sale marino destinato ad Aveiro
in Portogallo, dopo di che ad Aveiro ci avrebbero caricati con 3500
tonnellate di ciottoli di granito per i selciati olandesi e europei
oppure con uguale quantità di pacchi contenenti legname per
panchette da salotto.
Quando sono a terra, mi annoio talmente
che, o finisco in un Bar, o mi rinchiudo in un Albergo e mi metto a
dormire, a bordo delle navi invece, mi cerco qualche cosa da fare, e
scommetteteci, su una nave c’è sempre qualche cosa da fare, basta
volerlo.
A bordo della Condor l’eterno rullio
della nave non mi era mai andato giù, con il mare lungo e di
traverso, tutte le navi in zavorra rullano, la Condor però rullava
più delle altre e non solo in zavorra, piuttosto anche a pieno
carico.
Rullava in modo
anomalo e nessuno ne sapeva il perché.
La nave oltre che con cisterne di
zavorra nel doppio fondo, era stata equipaggiata anche con quattro
cisterne così dette alte, che dal fondo stiva arrivavano fino alla
linea di galleggiamento, e da altre otto cisterne lungo i fianchi da
poppa a prua, che dalla linea di galleggiamento a pieno carico
zavorra, arrivavano fino a metà altezza della stiva inferiore.
acqua di zavorra viene pompata nella nave alla partenza per stabilizzarla, e poi viene espulsa in fase di arrivo
Ancor oggi, dopo tanti anni non sono
riuscito a capire del perché di queste mezze cisterne, difatti
sarebbe stato molto meglio non metterle affatto e aumentare così la
capienza della stiva, le cisterne però c’erano ed erano li per
restare.
Quasi giornalmente da quando ero a
bordo mi ero ripromesso di aprirle alla prima occasione propizia per
controllare se erano veramente vuote come risultava sondandole
manualmente.
La logistica della nave che ancora non
aveva avuto una singola traversata, per quanto breve, che fosse in
zavorra, o un fine dettima in porto, mi aveva sempre impedito di
eseguire quei controlli.
L’unica cosa che sapevo con certezza
era che da diversi anni ormai, a bordo, come per incanto, erano
apparse 120 tonnellate fantasma senza che nessuno fosse mai
riuscito a scoprire dove fossero nascoste, e senza che se ne
potesse arguire la provenienza. Tutti, anche i più accorti e capaci
tecnici di carico e misurazione della stazza di una nave secondo la
formula del vecchio Archimede, sapevano con certezza che c’erano,
il loro unico grattacapo era che non sapevano dove erano, e così,
volenti o nolenti, l’intera banda degli esperti si era rassegnata
al fatto che ormai la nave caricava 120 tonnellate di carico in meno,
che non rappresentavano altro che l’ammontare del peso fantasma
nascosto a bordo da qualche parte.
Ognuna di queste cisterne aveva il suo
passa uomo sigillato da coperchio di ferro ovale assicurato al fondo
cisterna con ventiquattro bulloni, di conseguenza la mia intenzione
quel pomeriggio era appunto di aprirle e controllarle una ad una.
Telefonicamente spiegai al comandante,
durante la nostra breve telefonata meridiana sull’assetto nave, in
cui io gli comunicavo le rimanenze del combustibile, dell’acqua
potabile e dell’olio lubrificante a bordo e lui mi dava le miglia
marine macinate nelle ultime 24h, quelle rimanenti da fare per
raggiungere la nostra destinazione e il giorno e l’ora del nostro
arrivo in Porto, cosa intendevo fare e perché.
>Mi viene già ora voglia di ridere
solo a pensare che lei abbia un’altra volta ragione Chief, mi
informi, se trova acqua nelle cisterne, così che potrò calcolare
più carico,< mi raccomandò poi chiudendo la conversazione.
Era da Bilbao che non veniva più a
mangiare in mensa, normalmente a mezzogiorno mangiavamo assieme, dopo
la catastrofica operazione nel Cantabrico però, preferiva farsi
portare il suo pranzo in cabina e mangiare da solo.
Il suo braccio
destro invece pranzava alle undici e mezzo, e così in modo elegante
non ci si incontrava mai, se non per caso.
Quel giorno prima di andare a pranzo
con i ragazzi che mangiavano in mensa con noi, dall’officina mi ero
portato appresso gli attrezzi che mi servivano e li avevo messi ben
in mostra sul pavimento davanti alla porta della mensa, in questo
modo i nostri due giovani aspiranti marinai non potevano fare a meno
di notarli.
>Intendi fare qualche lavoro in
coperta Chief?< Chiese Martin non appena vide gli utensili sul
pavimento.
>Dopo mangiato abbiamo un lavoretto
da fare nella stiva Martin, vogliamo aprire le cisterne alte della
zavorra e controllare se sono realmente vuote,< gli risposi mentre
Peter ci portava il pranzo a base di pesce fritto e patate arrostite.
In poche parole spiegai loro la ragione
dei miei dubbi e perché non credevo che fossero vuote e cominciai
a mangiare.
Luwala dopo essersi mangiata la sua
razione di avanzi del giorno prima, ci osservava dalla porta, vedendo
che nessuno la degnava di uno sguardo, se ne era andata in coperta
ad abbaiare ai gabbiani ed al mare.
>E se troviamo dell’acqua nelle
Cisterne?< -chiese Gerd che si stava già mangiando un'altra
porzione di pesce e patate mentre io non avevo nemmeno finito la mia-
>lasciamo l’acqua fuoriuscire
dalla stiva e la rispediamo in Mare,< -risposi - >sono
convinto che poi la nave non rullerà più in modo così estremo e
potremo anche caricare 120 tonnellate di carico in più,<
precisai.
Subito dopo mangiato, sollevati un po’
i pontoni dei boccaporti per avere più luce, andammo diritti nella
stiva; due ore dopo avevamo aperto tutte le cisterne, e pompato fuori
bordo 120 tonnellate d’acqua puzzolente e rugginosa, la Condor
finalmente cessò il suo snervante rullio, e noi, paghi del nostro
lavoro, andammo a berci un caffè seguiti da Luwala che paziente ci
aveva atteso davanti all’entrata della stiva, sdraiata in coperta,
all’ombra del ponte .
La cosa non mi dava più pace, e cosi,
subito dopo essermi fumato una sigaretta e sorseggiato un po’ di
caffè, ritornai nella stiva seguito dai miei due compari che non si
aspettavano davvero una pausa pomeridiana così corta.
Nelle cisterne trovai un casino e
mezzo: il tubo di carico e scarico della zavorra scendeva
perpendicolare dall’alto verso il basso e non come Dio comanda con
l’imboccatura a poppa e in basso della cisterna, ma filava dritto
giù, fino a pochi centimetri dal fondo, cosi che mi chiesi subito
con che valori di contropressione dovevano lavorare le pompe quando
le cisterne erano quasi piene, o che vuoto dovevano generare per
potersi autoalimentare con un minimo di 100 tonnellate l’ora nelle
operazioni di svuotamento.
Mi trovavo infatti, di fronte alla
cazzata navale più grande del secolo, dove la relazione tra la
capacità delle pompe e il diametro e l’impostazione delle
tubazioni nelle cisterne, erano contrarie ad ogni elementare
principio di fisica applicata.
L’altra porcata la
trovai nei tubi di sondaggio.
Un dannato imbecille nel cantiere di
costruzione, aveva si fatto scendere il tubo fino a pochi centimetri
dal fondo cisterna, ma lo aveva reso anche cieco, otturandone la fine
con una piastra; per permettere poi all’acqua di entrare nel tubo,
quel cretino di costruttore navale aveva pensato bene di praticare
dei piccoli fori laterali da cinque millimetri, ai lati del tubo
stesso.
Fin qui anche se trovavo che era
davvero una soluzione piuttosto ridicola e anormale, sen’altro
aveva funzionato, ma questo solo fino a quando la ruggine, la
salsedine e la sabbia non avevano otturato i piccoli fori nei tubi di
sonda e impedito ogni reale sondaggio.
L’acqua nelle cisterne che, per una
ragione o per l’altra, in un determinato giorno diversi anni prima,
chissà poi per quale strambo e malato motivo, vennero solamente
riempite a metà e lasciate così per chi sa quanti anni, aveva
corroso i tubi di aspirazione delle pompe a pelo d’acqua, questa
era la ragione per cui le pompe aspiravano aria, e dato che anche al
sondaggio, essendo i tubi otturati, le cisterne risultavano vuote,
tutti credevamo, come era logico supporre, che quelle fossero vuote
davvero, per questo cominciarono a parlare di zavorra fantasma.
Invece la spiegazione a ben vedere era
logica e per nulla soprannaturale.
Calcolai che partendo con due
traversate pagate al mese, arrivavo a ventiquattro traversate l’anno,
quindi con centoventi tonnellate in meno a viaggio arrivavamo a
5720 tonnellate di carico perso e ad una media di minimi duecento
mila dollari annui in meno di guadagno lordo.
Quello che veramente mi dava da pensare
era il fatto che, stando al grado di corrosione dei tubi nelle
cisterne, questo stato di cose era vecchio di almeno dieci anni,
questo mi diceva che in questo lasso di tempo nessuno, nemmeno la
Società di Classificazione, che in questo caso era la Germanische
Lloyd, le aveva mai fatte aprire per ispezionarle.
Felice del risultato ottenuto, dopo la
doccia riportai il tutto in bella calligrafia sul mio Giornale di
Bordo e poco dopo non potei fare a meno di cercarmi i piani di
costruzione delle cisterne che avevo a bordo.
Come supponevo, scoprii che il
Costruttore per le cisterne alte aveva previsto tubi zincati da 120
millimetri mentre io avevo trovato tubi non trattati e di soli 80
millimetri.
Anche qui, la scure del risparmio o
della truffa alla sicurezza, con il beneplacito di una società di
classificazione navale, pur sapendo bene che prima o poi questo
avrebbe messo seria difficoltà la nave, era calata senza
misericordia alcuna.
Era la stessa scure che cadde sui piani
di costruzione di tante altre navi come ad esempio la Titanic, che da
sola trascinò oltre 1400 persone con sé sul fondo dell’oceano
Atlantico.
Quello che di più in questi casi mi
rammarica è la certezza di sapere che questi tagli alla sicurezza
delle navi sono praticati una banda di mezze calzette di Comandanti
nautici che hanno prostituito il loro onore di Gente di Mare per far
carriera a terra, giocando sulla sicurezza delle navi e sulla pelle
dei loro camerati e colleghi in mare.
La certezza poi che codesti ***
del mare la passavano pure liscia e ci guadagnavano sopra, mi faceva
veramente star male, tanto che già da anni mi ero prefisso di
combatterli apertamente ad ogni occasione propizia, sempre e
comunque.
Stiviamo sale e l'ufficiale ancora
una volta mette in pericolo nave ed equipaggio
Quella sera il mare lungo ci arrivava
quasi direttamente di fianco a dritta, ma la Condor non rullava quasi
più.
Anche il Comandante se ne era accorto e
mi aveva telefonato, prima in camera e poi in mensa per informarsi.
>Vedo con piacere che lei ha trovato
le 120 tonnellate fantasma Chief,< lo sentii dire mellifluo non
appena risposi al telefono.
Gli spiegai la situazione con quattro
parole e in stile telegrafico e sbrigativo come ero solito fare
quando dovevo spiegare qualche cosa di tecnico a chi in verità di
tecnica non ne capisce proprio un ***, ma gli dissi anche che, fino
ad un’eventuale riparazione dei tubi nelle cisterne,queste erano
fuori commissione, poi, dato che non avevamo niente altro da dirci,
con un formale buona sera, finimmo la comunicazione.
L’indomani a metà
pomeriggio attraccammo alla banchina di
carico della Salina, non lontani dalla Cittadina di Antes, sulla Riva
destra del fiume Ronna.
I portuali cominciarono subito a
caricarci ed io a pompare la zavorra dalle cisterne nel doppiofondo
della nave, fuori bordo.
Sapevo per esperienza che i portuali
della salina lavoravano fino alle otto di sera, che avrebbero
terminato di caricare la nave l’indomani nel primo pomeriggio,
perciò dato che verso sera avevamo già un 250 tonnellate di sale
nelle stive, scaricai, per aver più tranquillità l’indomani,
tutte le 1800 tonnellate di acqua di mare che avevamo a bordo come
zavorra.
L’indomani avevo intenzione di
costruire il nuovo cassonetto per le batterie di emergenza per il
nostro ricetrasmettitore di bordo e di farmi altri piccoli lavoretti
di manutenzione all’impianto elettrogeno.
Grazie all’esperienza ed alla
accortezza di Peter che, per una stecca di sigarette a Bilbao, si era
non solo procurato le lamiere necessarie, ma se l’era pure fatte
tagliare a misura, verso mezzogiorno con l’aiuto dei ragazzi avevo
già terminato il cassonetto e vi avevo sistemato dentro le
batterie. Non potevo usare la saldatrice elettrica per fissarlo sul
ponte, per finire il lavoro avrei dovuto infatti costruire una nuova
base e saldarla direttamente sulla coperta, ma con tutti i pericoli
d’incendio che un operazione del genere, dato l'isolamento termico
del ponte, avrebbe comportato, preferimmo assicurarlo alla
ringhiera con due fasce di nailon a tiranti, sicuri che quello non si
sarebbe più mosso di lì. Verso le due del pomeriggio, senza andare
a pranzo, avevo anche terminato gli altri i miei lavori comprese le
ispezioni in sala macchine.
Stavo finalmente
bevendo un caffè in coperta, appoggiato al parapetto mi guardavo
quella bianca distesa di sale, con piccoli covoni bianchi sparsi qua
e là, e in mezzo a quelli, come formiche su un foglio di carta,
piccoli puntini neri di uomini al lavoro, che mi ricordavano le vaste
saline nei pressi di Aveiro, sacrificate all’ottusità
dell’industria edile che costruiva case che nessuno si poteva
compare e fabbriche e capannoni che non servivano a nessuno.
Quando Peter, visto che parlavo
abbastanza bene il francese, mi pregò di andare con lui in città
per aiutarlo a far provviste.
Prima di andarmene
informai il Comandante che scendevo dalla nave e lo pregai di tener
d’occhio i portuali.
Contrariamente a
tutti i portuali di questo mondo, i francesi nella loro primordiale
ignoranza, a fine carico non volevano saperne di dividere il carico
in modo equo e uniforme senza lasciare posti vuoti nella stiva e
mezzi covoni che,spostandosi con il rullio e le vibrazioni delle
nave, avrebbero potuto alterare il nostro assetto di navigazione ed
eventualmente mettere in pericolo la nave.
Oltre a ciò, quando
i signori rappresentanti e prototipi della Grand Nation si accorgono
che il loro interlocutore non parla la loro lingua, manco lo degnano
di uno sguardo, se non di biasimo.
Questo era il
problema di Markus, lui non parlava francese, io invece sì, e potevo
comunicare in modo conciso e comprensivo anche con il più arrogante
e ignorante dei francesi.
>I portuali
tendono a non voler levigare il carico nelle Stive, lo fanno con
tutte le navi, anche se non dovrebbero farlo,< avvertii il
Comandante che mi rassicurò affermando che intendeva mettere tutti
pontoni in posizione,e,così tranquillizzato, raggiunsi a terra il
cuoco che mi stava aspettando sulla banchina.
Prima di ritornare a
bordo con i nostri acquisti, ci sedemmo in un bistrò e ci bevemmo in
santa pace, un paio di birre, e solamente dopo che ero riuscito a
comperarmi anche due quotidiani tedeschi, ritornammo a bordo.
Già stando dalla
banchina potevo sentire il sibilo della turbina ad aria compressa
necessaria per sollevare e muovere in posizione i pontoni nella
stiva, tuttoquindi pareva procedere regolarmente, quindi non mi
occupai più della faccenda.
Mezz’ora dopo il
pratico fluviale venne a bordo e salpammo con l’alta marea alla
volta del mare aperto per proseguire il nostro viaggio verso Aveiro
in Portogallo.
La sorpresa arrivò verso le tre del
mattino dopo, nel bel mezzo del Golfo del Leone.
Da Nord-nordovest ci
investì una forte burrasca, e la Condor ricominciò a rullare da
maledetti, poi si inclinò una decina di gradi sulla sinistra e,
restando così inclinata, continuò a rullare.
Forse grazie all’esperienza acquisita
nel Cantabrico, chiunque si trovava sul ponte di navigazione aveva
imparato bene la lezione perché aveva subito girato la nave contro
il vento e il mare e ne aveva ridotto la velocità.
Temendo il peggio, saltai giù dalla
cuccetta, mentre in fretta indossavo la tuta, Luwala svelta prese il
mio posto e, prendendo la sua solita posizione a pancia all’insù,
si incagliò con cura tra materasso e paratia, rimettendosi
tranquilla a dormire.
Mentre scendevo di
volata le scale per andare in macchina, cercavo di coordinare le mie
idee, sapevo solo che i pontoni nella stiva erano stati inseriti in
posizione, e che non avevamo subito nessuna collisione, né con
un’altra imbarcazione né con qualche ostacolo solido galleggiante,
come potrebbe essere ad esempio un contenitore o un tronco d’albero.
Pertanto dopo aver
messo in rete anche il secondo gruppo elettrogeno, pur sapendo che le
cisterne della zavorra a sinistra dovevano essere vuote, le
controllai ugualmente a distanza, come speravo le trovai vuote.
Prima di salire sul ponte di navigazione, data la costante
inclinazione della nave, fermai anche il depuratore dell’olio
lubrificante, controllai l’andazzo della mia mandria che scalpitava
al 40% della sua potenza, e me ne andai sul ponte a vedere cosa
diavolo mi avevano combinato questa volta.
I nostri due eroi stavano discutendo
sul perché dell’improvvisa inclinazione della nave, ma l’ufficiale
di coperta parlava poco l’inglese e a volte faceva anche finta di
non capire.
>Cosa avete fatto nella stiva, avete
messo tutti i pontoni in posizione o solo un paio,< chiesi a Gerd
che assieme a Martin e Peter, ormai esperti e incalliti marinai, si
erano precipitai sul ponte non appena la nave non si era raddrizzata
.
>Abbiamo potuto mettere in posizione
solo i pontoni di prua, i portuali si erano rifiutati di spianare i
covoni di sale a poppa dicendo che tanto quelli non si sarebbero
mossi, e così l’ufficiale non ha voluto toccarli,<
>Bene, di bene in meglio, ma almeno
ora sappiamo la probabile ragione della nostra inclinazione,<
dissi piuttosto amareggiato al vecchio imbecille che aveva ripreso a
fissare un punto nella notte da qualche parte la fuori nella
tempesta.
>Dobbiamo andare nella stiva e
spalare il carico a dritta finche non abbiamo raddrizzato la baracca
e levigare bene il carico,< spiegai ai ragazzi.
>Senta un po’
Chief, perche invece di andare nella stiva a spalare per delle ore il
sale non immette della zavorra nelle cisterne vuote di dritta come
contro peso, finche la nave non è livellata con l’orizzonte?<
mi chiese un Capitano Nautico di 74 Anni.
>Chi è stato
quell’idiota che le ha emesso il brevetto di Comandante Nautico?
Come si permette di fare queste domande e dare questi consigli allo
Chief, lei sembra veramente intenzionato ad ucciderci tutti quanti, <
- si intromise Peter che con due passi decisi si era di nuovo
piantato minaccioso davanti al Comandante- > questo perché
nessuno di voi ascolta i Bollettini meteo, se lei avesse subito fuori
dal fiume accostato sotto costa ora saremmo al riparo dei venti da
Nordest e invece siamo di nuovo nella merda, dannazione,< aggiunse
in olandese Peter ed io non potevo veramente dargli torto.
Quello scemo di
Comandante, da buon Capitano di Lungo corso, appena fuori dal fiume
aveva puntato il naso verso il mare aperto e non aveva virato subito
a dritta, cosa che sarebbe stata necessaria, non solo per abbreviare
la strada da fare, ma anche per mettersi al riparo dalle eventuali
brutte sorprese Meteo da Nord –Nordest del Golfo del Leone,
famigerato per le sue mareggiate.
Avrebbe potuto
navigare più sottocosta, nessuno glielo impediva, tranne la sua poca
esperienza nella navigazione con navi al disotto delle diecimila
tonnellate.
>Dobbiamo per forza di cose andare
di nuovo nella stiva durante la navigazione per vedere di sistemare
le cose in qualche modo, per non andare all’Inferno, tu Peter
rimani qui sul ponte che è meglio, mentre noi e con questo intendo
anche il fottuto Ufficiale di Coperta, andiamo nella stiva a
raddrizzare la baracca,< spiegai ai ragazzi, e questa volta per
fortuna il Comandante preferì starsene zitto, guardando fuori nel
buio della notte.
Il Nostromo prese
subito il suo posto accanto al Comandante ed io, seguito dai ragazzi
e da un taciturno Ufficiale, li precedetti per richiuderci nella
stiva sperando che non diventasse la nostra bara.
La gravità del pasticcio mi fu presto
evidente, uno sguardo intorno nella stiva mi bastò.
Questa volta il
problema si trovava a poppa; mentre a prua i pontoni erano al loro
posto in posizione sopra la stiva inferiore, a poppa erano ancora uno
sopra l’altro. Grazie al forte rullio della nave nella tempesta che
l’aveva investita di fianco, una ventina di tonnellate di sale si
erano ammassate a sinistra contro la paratia della nave, e ci
tenevano inclinati da quella parte con un angolo di 15° sul livello
del mare.
Mi resi conto che
per raddrizzare la nave ci occorrevano almenoun paio d’ore, non
avevamo tempo da perdere.
>Prenditi una
pala e comincia a scavare, scavati la fossa o scava a dritta la nave,
ti consiglio di metterti a scavare o ti seppellisco sotto il sale
dannata scimmia,< ringhiai in faccia all’Ufficiale e con i
ragazzi comincia a spalare il sale da sinistra a dritta.
Ci mettemmo tre ore per livellare la
nave, alla fine levigammo il tutto in modo che non potesse più
spostarsi né da una parte né dall’altra e risalimmo la scaletta
per ritornare in coperta.
>Perche non hai
raddrizzato la nave con la zavorra come voleva il Comandante?< Mi
domandò Gerd mentre salivamo sul ponte.
>Sarebbe stato
uno sbaglio imperdonabile.< -gli risposi- >se poi con il rullio
e gli sbandamenti il sale si fosse spostato verso dritta, allora si
che saremmo stati veramente nei guai, in questo caso avremmo avuto
un’inclinazione sulla dritta di circa 30°, quella causata dal sale
più quella dell’acqua, il che in una burrasca simile ci avrebbe
con tutta probabilità portai diritti ai pesci,< gli spiegai.
>E così che si affondano le navi e
si ammazza tanta brava Gente di Mare,< aggiunsi una volta sul
ponte mentre ringraziando mi prendevo la tazza di caffè che Peter mi
stava porgendo.
>Non ti azzardare
questa mattina a lamentarti perché la colazione non è ancora pronta
o ti giuro che ti ammazzo, < -ringhiò Gerd minaccioso in faccia
all’Ufficiale di Coperta- >tu con la tua ignoranza e la tua poca
voglia di lavorare non mi uccidi dannata scimmia, ti ammazzo io
prima, di questo puoi starne più che sicuro, a casa ho la mia
ragazza e mia figlia che mi aspettano,< gli ringhiò di nuovo
dietro nel versarsi un caffè. Mentre lo ascoltavo, pian piano
rimpiansi di non aver acconsentito all’avvicendamento dei due
imbecilli nautici durante la nostra sosta forzata a Bilbao.
Il Comandante e il
suo braccio destro cominciavano veramente ad apparirmi come persone
ignobili e infide che non avevano nessun diritto di venir annoverate
tra la Gente di Mare se non in modo negativo e tipi da buttare a mare
alla prossima occasione.
Si decide di
stabilire turni di guardia sul ponte per sicurezza
>Vai a farti la doccia Gerd ma
ritorna subito sul ponte,< -dissi al ragazzo- >anche oggi è il
caso di mettere dei turni di guardia sul ponte,< gli spiegai.
>Sono perfettamente in grado di
starmene da solo sul ponte, e poi sono ancora io il Comandante di
questa nave, < sbottò quel vecchio imbecille.
>Smettila di dire scemenze,< -gli
ringhiai in faccia- > è la seconda volte in dieci giorni che per
colpa tua siamo in uno stato di emergenza, quasi non ti puoi reggere
in piedi, cosa credi di poter fare, cosa succede se cadi e ti rompi
quella testa di merda che ti porti addosso, cosa succede se
speroniamo un'altra nave, vecchio disgraziato, me lo sapresti dire, o
hai veramente intenzione di ammazzare qualcuno?< Il vecchio
testardo ammutolì e come al solito in questi casi, prese a guardare
un punto nel nulla della notte.
In fila indiana, seguito da due
silenziosi Peter e Gerd, uscii dal ponte e l’ufficiale di coperta
ci si accodò per andare a farsi una doccia pure lui.
Quel mattino Peter per colazione ci
preparò delle frittelle.
Il comportamento e l’attitudine di
Peter verso nave ed equipaggio erano veramente encomiabili. Ancora
non avevo sentito una parola di protesta e tanto meno di rifiuto
quando si trattava di dare una mano e portare un valido aiuto alla
nave e al suo equipaggio; in situazioni di emergenza me lo ero sempre
trovato a fianco. Proprio per questo mi proposi di parlarne con
Markus non appena questi fosse ritornato a bordo, difatti pensavo che
un bonus di qualche centinaio di fiorini sarebbe stato più che mai
d’uopo, anche i due ragazzi si erano meritati un bonus.
Il nostro piccolo mondo stava
ritornando verso la sua quasi monotona normalità, fatta di piccoli
piaceri come un buon pranzo o un lavoro ben riuscito, e con
soddisfazione mi accorsi anche che dopo che avevamo svuotate le
cisterne alte della zavorra del loro inutile contenuto, si rullava
molto meno del solito.
Verso mezzogiorno poi la burrasca
com’era venuta, si dissolse nel nulla e potemmo riprendere a
navigare con la solita velocità economica, all'incirca all'80%
della forza totale.
Solo al tramonto mi accorsi di quello
che avrei dovuto notare già da diverse ore, difatti o era il sole
che scendeva dalla parte sbagliata o eravamo noi che stavamo andando
in un'altra direzione che ci portava diritti verso Est e non verso
Sud-sudovest.
Difatti mi resi
conto che il sole tramontava a poppa sulla sinistra e non sulla
nostra dritta come avrebbe dovuto fare se stessimo navigando lungo
la costa spagnola.
Quando presumibilmente ci si trova a
navigare sottocosta e non si sa dove diavolo ci si trova, un modo
infallibile per capirlo è quello di accendere la TV.
Trovai la TV
francese, ma era la Corsica , trovai anche diversi canali in
Italiano, e quelli erano Sardi, ma della TV spagnola che a quell’ora
avrei dovuto ricevere, manco l’ombra.
Fregandomene
altamente dove diavolo stesse andando la nave, mi preparai un mezzo
secchio di caffè e mi misi a guardare la TV italiana. Luwala, che
dopo la tempesta si era fatta i suoi soliti giri d’ispezione per le
varie coperte, dopo aver profusamente cenato e lasciato il suo
consistente mucchietto in coperta sotto la scialuppa di salvataggio,
si era ,tranquilla e beata, accovacciata ai miei piedi,e con far da
intenditrice si era messa ad annusare i miei calzini e a guardare la
tv.
Al tramonto del nostro secondo giorno
di navigazione in un mare calmo e liscio come l’olio, in lontananza
a prora via sulla dritta vidi delle Isole. Quelle erano le Isole
Baleari solo che non avremmo dovuto vederle se non sulla nostra
sinistra.
Finché avevo
abbastanza combustibile e acqua potabile a bordo e Peter aveva
sufficienti provviste, quel vecchio imbecille poteva andare dove
voleva, quelli non erano affari miei, cosa mia era la sicurezza
tecnica della nave, non rientrava nell’ambito della sicurezza nave
la rotta che prendeva.
L’indomani a
mezzodì, quando,come ogni giorno, riferivo sul ponte per il loro
Diario di Bordo l’inventario del combustibile e dell’acqua
potabile, avvisai il Comandante che il combustibile a bordo sarebbe
bastato solo per altri quattro giorni di navigazione.
Il vecchio imbecille non trovò niente
di meglio da dire che chiedermi che cosa ne avevo fatto di tutto il
combustibile che avevamo avuto a bordo.
Forse fu la pietà che ormai provavo
per quella misera figura umana camuffata da Comandante Navale, o
forse la poca voglia di farmi tutte le scale fin sul Ponte di
Navigazione per scaraventarlo fuori bordo, che mi sconsigliò di
andare sul ponte, fatto sta che mi trovai a ricordargli con calma
che un paio di giorni prima avevo viso le Tv della Corsica e della
Sardegna, e a spiegargli che pertanto dalla foce della Ronna in rotta
per Gibilterra eravamo passati a meno di 30 miglia da quelle coste.
Gli ricordai anche la sua ridicola
passeggiata per tutto il fottuto mare Cantabrico e mi trovai a
consigliarli che se in caso avesse deciso andare ad Aveiro via New
York sarebbe stato d’uopo prima fare dei rifornimenti a Ceuta o a
Gibilterra altrimenti saremmo prima o poi andati alla deriva
nell’oceano Atlantico e morti di fame e di sete.
Senza attendere una
sua risposta gli ordinai con decisione 40 tonnellate di combustibile
per Aveiro e il pieno di acqua potabile, e terminai la conversazione
mettendo giù il telefono.
Tre giorni dopo entrammo nel Porto di
Aveiro con a bordo una rimanenza di combustibile per sole dodici ore
di navigazione.
Lo stesso giorno
telefonai a Rotterdam e chiesi il rimpiazzamento del Comandante e di
quel figilo di *** del suo degno Ufficiale.
La solita voce nel mio orecchio,
ascoltò le mie lamentele, mi diede pure ragione, mi disse però che
da Aveiro saremmo salpati alla volta di Rotterdam con la stiva piena
di pacchi di legname, e che al momento, non aveva né un Comandante,
né un Ufficiale a disposizione.
Dopo di che mi chiese quanto
combustibile avevamo ancora a Bordo, e rendendomi conto che il
comandante si era scordato di ordinarlo lo feci io e chiesi 40
Tonnellate o almeno 25 per poter raggiungere Rotterdam, e lo pregai
anche di informare il nostro agente di rifornirci pure di acqua
potabile.
Ridacchiando
divertita la voce mi assicurò che avrebbe dato subito le istruzioni
del caso e, a seconda dei prezzi di mercato, ci avrebbe fatto
pervenire a bordo un minimo 25 tonnellate di combustibile e l’acqua
potabile, poi mi chiese se per caso quei due avessero sovraccaricato
la nave, visto che questa volta il carico era stato di 120
tonnellate in più del solito.
Gli svelai il
segreto delle 120 tonnellate fantasma e gli spiegai anche che da un
mio conto approssimativo la nave negli ultimi anni, grazie a questo
scherzetto della zavorra fantasma, aveva perso qualche cosa come un
centinaio di migliaia di dollari l’anno.
Sentii la solita
voce parlare concitata con qualcuno, poi, promettendomi un bonus, mi
ringraziò dicendo che sembrava incredibile che su una nave olandese
fosse dovuto arrivare uno Chief Italiano dalla Germania per scovare
le 120 Tonnellate di zavorra fantasma che nessun tecnico olandese nel
corso degli anni era riuscito a individuare.
Rotterdam. Markus
il mio riposo e l'ansia del marinaio a terra, ma c'è Carla..
Il giorno dopo,
ancor prima di mezzogiorno, ci arrivarono 25 tonnellate di carburante
e l’acqua potabile, la stessa sera tardi, terminate le operazioni
di scarico,i ragazzi risciacquarono i resti del sale dalle paratie e
l’indomani di buon ora, iniziarono le operazioni di carico.
Salpammo da Aveiro in un mare calmo
verso le nove di sera e, almeno per quel che riguardava questo
carico, ero sicuro che non avremmo avuto problemi.
Gli Dei del mare
questa volta ebbero pietà di noi, difatti ci regalarono le migliori
condizioni atmosferiche che avevano da offrire, e per tutta la
traversata non vedemmo né delle singole nuvole né delle piccole
increspature di mare.
Cinque giorni dopo entrammo nel Porto
di Rotterdam.
Luwala, contenta e giuliva salutò ogni
singolo membro della famiglia di Markus che assieme a lui ci stavano
attendendo in banchina, un altro della combriccola mi era sconosciuto
ma da come era vestito, lo classificai subito come il fabbro del
Villaggio inglese che mi avrebbe sostuito a bordo per uno o due
viaggi.
>Grazie Franco,< disse Markus
prima di salire, due scalini alla volta, sul Ponte di Navigazione.
Il vecchio Comandante mi faceva anche
pena, ma solamente perchè la Condor sarebbe sicuramente stata la sua
ultima nave, mi dispiaceva vedere una carriera in mare finire in un
modo così disastroso.
Ero però anche convinto che quell’uomo
ormai rappresentasse un pericolo non solo per la nave e il suo
equipaggio, ma per la navigazione in generale, e che pertanto dovesse
essere necessariamente esonerato dal servizio attivo.
Mi trovai per un momento a sperare di
non finire la mia vita in mare in un modo simile, di mantenere sempre
il buonsenso e la capacità di giudizio sulle mie azioni senza
mettere mai in pericolo uomini e mezzi.
Come supponevo,
Markus si tenne l’Ufficiale con lui a bordo, sapeva bene che
quello non si sarebbe permesso di fare il lavativo, il nuovo
Comandante lo avrebbe immediatamente preso letteralmente a calci
nel sedere.
Il vecchio fabbro
del villaggio conosceva già la nave, un paio di volte nel passato ci
aveva passato sopra le ferie con la sua famiglia, aveva anche
pasticciato un poco in Sala Macchine, ma quello che per me era di
fondamentale importanza, era che aveva in gioventù navigato per un
paio d’anni come aiuto motorista su navi della Marina Mercantile
Britannica, e quella in quanto a tecnica e capacità marinare non era
seconda a nessuno.
Il giorno seguente, durante il
passaggio da Rotterdam ad Anversa, gli avrei spiegato altre cose,
sperando che se le tenesse in testa. Confidavo anche in Markus,
visto che durante il periodo a bordo me lo ero più di una volta
trascinato in macchina e lì gli avevo spiegato l’esecuzione di
diverse operazioni, come ad esempio l’uso delle pompe di zavorra,
del trasferimento del combustibile dalle cisterne del doppio fondo a
quelle di decantazione e, attraverso una batteria di filtri
antidiluviani, alla cisterna di aria, insieme ad altre mansioni di
importanza per la sicurezza della nave.
Insomma, sperando
che i due eroi della tecnica navale non mi fracassassero tutta la
fottuta baracca, comunque feci tutto il possibile affinché ciò non
dovesse succedere.
In Anversa feci il
rifornimento di combustibile, Markus aveva seguito il mio consiglio e
incamerato una quindicina di tonnellate in più per non correre il
rischio di doverne prenderne dell’altro da qualche parte con un
uomo a bordo, non proprio pratico del da fare.
Assieme al fabbro
feci tutto quello che mi era possibile fare e controllare per non
fargli avere dei grattacapi durante la traversata, infine, ad Anversa
avevo anche preso i Diagrammi di combustione del Motore Principale e
in porto, a motore fermo, le deflessione del suo albero di
trasmissione.
I due Documenti che dimostravamo la
buona efficienza e condizione del motore li fotocopiai, e incollando
una fotocopia nel mio Giornale di bordo, ne misi un'altra nei miei
rapporti mensili per darla all’Armatore e Comandante della Nave,
mi tenni l’originale per la mia mappa personale da portare con me a
terra.
La nave salpò alla
volta di Bilbao carica, con un costoso carico di rotoli di Lamiera
Inox, il giorno dopo, io presi il treno e me ne ritornai a Rotterdam
dove due giorni prima alla Pensione Portoghese Algarve, avevo già
prenotato una stanza.
Da quel giorno
l’ansia del marinaio abituato a starsene a bordo delle sue navi e
a viverle intensamente come se fossero di carne ed ossa e non di
acciaio, riprese, l’inquietudine si impossessò come sempre dei
mie sentimenti e delle mie azioni, quella mattina non appena mi
svegliai chiedendomi dove diavolo ero finito, per una lunga manciata
di secondi che mi parvero un eternità, provai sgomento.
Seduto sul letto della mia stanza poco
prima di mezzogiorno, mi sembrava che questa si facesse sempre più
piccola come se mi volesse schiacciare.
La maledetta solfa
di sempre riprese da capo, e come da sempre, la noia cominciò a
girarmi in testa e la parte si peggiore, ma anche la più divertente
e amena, cominciò a prendere possesso di questo lupo di mare fuori
posto e fuori luogo.
Per quanto nelle ultime settimane in
particolare avessi sognato un po’ di riposo e una ben guadagnata e
meritata pausa, ora che l'avevo, mi accorgevo di provare una forte
sensazione d’insicurezza che rasentava quasi la paura.
Dannazione era
proprio così: avevo quasi paura.
Paura di andare in città.
Paura di dover
parlare con persone a me sconosciute.
Paura di attraversare la strada.
Paura di prendere il
tram o di andare in banca a prelevarmi un po’ di contanti.
Avevo semplicemente fifa, mi sentivo
insicuro perché mi mancava la nave, il mio mondo, i miei compagni di
bordo, mi mancava quella disgraziata che ogni volta che c’era una
burrasca si trincerava a pancia insù nella mia cuccetta, si
incagliava tra il materasso e la paratia, e finita al burrasca,
pisciava sul pavimento, mi mancava la mia mandria e tutto quel
casino di tubi, pompe, pompette valvole e gruppi elettrogeni che la
circondava.
Mi sentivo come prigioniero in un
pianeta sconosciuto con tanti piccoli lugubri omini verdi pronti a
scannarmi alla prima occasione.
Pensai per un
momento di infilarmi sul primo aereo in partenza per l’Italia e di
andare in Paese, a casa dai miei, ma sapevo anche che sarei caduto
dalla padella nella brace, in miei per quanto fossero contenti di
vedermi arrivare, erano ancor più contenti di vedermi ripartire ,e a
dire il vero io con quel paese di zombi non volevo proprio più aver
a che fare.
Il Paese era ormai diventato una
piccola cinica e ipocrita cittadina di provincia, e la Chiesa
Parrocchiale una Cattedrale.
A parte i lontani ricordi sbiancati dal
tempo di un’infanzia comune, con i miei vecchi compagni di scuola
non avevo legami di sorta se non appunto quei ricordi lontani nella
notte dei tempi.
Le nostre rispettive esperienze erano
troppo differenti, le nostre vedute lontane anni luce le une dalle
altre, praticamente non avevamo nient’altro di più in comune che
il colore del passaporto.
Eppure, pur sapendo
che mi stavo ingannando, guardavo alla casa dei miei e al paese in
generale, come ad un rifugio, a una tana dove potevo leccarmi e
ferite e rafforzarmi prima di sentirmi abbastanza in forze e sicuro
per ritornare là fuori alla caccia di altri mari e orizzonti e nuove
avventure.
Contro questo tipo di angosce però
conoscevo un antidoto ben collaudato nei secoli, da milioni di uomini
come me, e così decisi di uscire.
Ci misi esattamente dieci minuti a
radermi e a farmi una doccia, poi ben tirato a lustro e ben vestito,
dopo essermi cosparso da capo a piedi di dopo barba per confondere un
poco l’odore di nave che mi portavo addosso, scesi giù al Bar dove
trovai Paco il cuoco che taciturno come sempre, come se ci fossimo
veduti appena ieri, senza parlare mi mise davanti un boccale di Caffè
e un bel bicchiere di spremuta d’arancia.
Bevvi, fumai, pagai e me ne andai.
Uscii per andare, da uomo impavido e
sicuro, a combattere l’angoscia del marinaio a terra con una bella
bevuta di birra.
M’incamminai verso il Bar “La
Grotte!” del mio amico greco Kelly dove sicuramente dietro il banco
avrei anche trovato Carla, la più grande e sincera *** di tutta
Rotterdam, con lei volevo starmene un poco, finche' non mi decidevo a
decidere cosa fare e dove andare, e se andare, o semplicemente,
finché non sarebbe giunta l’ora di salpare di nuovo, nel
frattempo volevo rimanere assieme a lei a Rotterdam.
Fine.
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1. L'altra faccia della Luna Scritto da Franco Parpaiola , il 12-09-2011 03:10 Ciao Marista. credo che voi tutti ora vediate la Vita in Mare con Occhi differenti. Diversi Anni prima la Nave Italiana Tito Campanella affondò nel Cantabrico in condizioni simili, alla nostara prima emergenza. Aveva caricato acciaio in Svezia, e in una Burrasca cominciò ad inclinarsi sulla sinistra. Un Rimorchoatore tedesco di passaggio le offrì aiuto, ma fu rifiutato e quello continuò per la sua Rotta. Per questo sappiamo che era inclinata sulla sinistra. Di sicuro le lastre di acciaio sfondarono lo scafo e a Bordo non riuscirono a tenetre l'acqua sotto controllo. Non c'è altro da dire. Luwala e la stessa che ci frego il l'anatra arrosto il Natale dello stesso Anno, un paio mesi dopo. Ciao.
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