Una Città
come Monopoli, che esisteva già dai tempi dell’antica Roma, ha la
sua Città Vecchia con le piccole strade un po’ buie, con vicoli e
vicoletti che portano dappertutto e da nessuna parte.
Dove
Botteghe artigiane e Artigiani dalle mani d’oro, che testimoniano
di semplicità e di onesto lavoro, ancor oggi mantengono alta la
tradizione artigianale di sempre.
Dove puoi
trovare piccole salumerie a quasi ogni angolo di casa, dai mille
antichi e quasi dimenticati gusti e profumi nostrani, con Trattorie
a conduzione strettamente casalinga che ricordano di antichi odori e
sapori.
Dove le sue
Chiese, la sua devozione, la sua morale e le sue Leggi sono rimaste
quasi invariate nel tempo.
Quel piccolo
microcosmo cittadino all’ombra del Castello di Carlo V, è in
realtà un macrocosmo in se stesso, dove le tradizioni del passato e
la loro gelosa e sacra custodia si mescolano con le esigenze del
presente, con i buoni auspici per un futuro migliore nella vita di
questa laboriosa Città.
Come ogni
Città vecchia anche quella di Monopoli è ancora popolata da gente
semplice e laboriosa, ancora oggi vi si trova il Barbiere di vecchio
stampo e mestiere che tagliuzza ai propri clienti anche i peli lunghi
del naso e delle orecchie.
Trovi i
vecchi sarti e i calzolai provetti nel loro mestiere, taciturni nel
lavoro, ma attenti ascoltatori e osservatori della vita rionale.
Accanto agli immancabili tabaccai con annesso botteghino del Lotto,
trovano posto anche i Negozi del Pane e del Latte e tanti piccoli Bar
e trattorie di pescatori, sempre ad andamento strettamente
familiare, dove gli Uomini escono in mare a pescare e le Donne
gestiscono la casa, il Bar, la Cucina e la Trattoria e allevano pure
i loro figli.
Sono proprio
queste trattorie pittoresche che hanno rispolverato e tengono in vita
le ricette e antichi sapori di cui Monopoli e la Puglia in generale,
sono i fieri custodi.
Ed è
proprio qui, nella Città vecchia, come nelle Città storiche di
tutto il Mondo, che ancora si respira la storia di una Città, il suo
passato, ed è proprio qui, nelle Città Vecchie e nei Centri Storici
che si guarda al futuro nel vivo delle tradizioni e del folclore di
un tempo.
In qualsiasi
Città del Pianeta, ogni Città vecchia è un microcosmo a sé che
resta in qualche modo lontano dalle logiche cittadine, costituendo un
Mondo quasi irreale, popolato da quasi alieni che vivono in un certo
senso una vita diversa, come se fossero su di un’astronave che però
è ben ancorata al Macrocosmo urbano, microcosmi che tengono vive e
si tramandano di generazione in generazione, le vecchie tradizioni
cementate da secoli di Storia.
Monopoli non
è una Città grande, è piuttosto un gran bella cittadina , forse
un po’ fuori dal flusso turistico nazionale, e sicuramente poco
valorizzata, che meriterebbe più riconoscimento;c’è veramente da
auspicarsi che da questo punto di vista le cose cambino presto.
In realtà,
la valorizzazione del Turismo dovrebbe essere una delle voci
principali sull’agenda comunale di questa Città.
La Storia
della Città è vasta e le possibilità di richiamo alle tradizioni
secolari, sono molteplici specialmente nel settore della lavorazione
delle olive, nella produzione dell’Olio d’oliva, ma non solo,
anche incrementando e incoraggiando l’artigianato artistico locale,
si potrebbero creare punti di interesse per turisti, e nuove attività
locali che senz’altro troverebbero un sicuro apprezzamento .
A Monopoli
la gente rimasta che non è emigrata e sparsa per il mondo, è
laboriosa e attiva, lavora nelle costruzioni edili, e nelle
industrie fuori città, se non nell’agricoltura, al Porto oppure
nella Pesca e nella Gastronomia o, come molti, abbinando due
attività.
Quando ero a
Monopoli mi accorsi presto che la gente era molto impegnata a
migliorare il proprio tenore di vita e che per poterlo fare,
lavorava sodo.
E questo
anche se i monopolitani, che non sono ricchi, si sanno accontentare
di quello che hanno, ma questo tratto caratteristico si accompagna
alla capacità di ingegnarsi e alla volontà di lavorare, che
permette loro di condurre comunque un’esistenza decorosa e
tranquilla.
D’estate
la vita si svolge quasi esclusivamente nelle Strade e nelle Piazze e
piazzette della Città.
Mentre la
mattina c’è il solito via vai di massaie e anziani che escono al
mercato per la spesa, dopo pranzo e fino al tardo pomeriggio, in
Città le strade sono per lo più deserte. Ciononostante all'attento
ascoltatore non sfuggono i rumori della sega elettrica del falegname
e i colpi di martello del fabbro sull’ incudine, come non sfugge a
chi sa e vuole ascoltare, il sommesso brusio di voci dietro le
finestre semi chiuse delle case, e mentre il resto della Città
Vecchia dorme al riparo dal sole cocente d’estate, tutti aspettano
tranquilli la sera, quando le stradine e i vicoli, che durante le ore
del sol leone sembravano essere parte integrante di una Città Morta,
esplodono quasi di vita e rumori. Dopo cena gli anziani si siedono
davanti alla porta di casa, raccontandosi i fatti e le magagne del
giorno, mentre intere famiglie passeggiano sul lungomare godendosi le
brezze marine, incuranti della snervante esuberanza dei giovani che
armati dei loro dannati motorini, scorrazzano su e giù per le strade
e le piazzette cittadine.
Fu così che
proprio in questo ambiente, tramite un mio collega portoghese che
lavorava per una Ditta tedesca Subappaltata dalla Wehrle nel Cantiere
dell’Ital Green Energy, trovai un piccolo appartamento di quattro
stanze, che faceva il caso mio.
Più che un
appartamento, in verità mi presi in affitto un’intera casa formata
da quattro stanze su quattro piani.
Le stanze
erano una sopra l’altra. E una scala aperta le collegava tra loro
e sbocciava infine all’ultimo piano da dove con una scala di legno,
si poteva accedere alla terrazza, a dire il vero questa ultima era
una ben strana scala: ricordava un po’ quella dei pollai, ma dava
invece che in un pollaio, sul tetto a terrazza e ciò mi permetteva
di vedere, oltre le case del vicinato, un lontano spiraglio di mare.
La
costruzione di antica fattura aveva il tetto della cucina ad arco, i
muri formati con blocchi di pietra calcarea ancora al naturale,
sicché il tutto mi sembrava avere un aspetto un po’ bizzarro e
curioso, di tempi ormai lontani.
Le stanze
erano piccole, quasi come le celle dei Monasteri, il bagno era stato
costruito di recente al primo piano, come di recente erano state
pavimentate le scale con lo stesso marmo usato anche per la stanza al
terzo piano adibita a stanza da letto nella quale trova posto
solamente un letto, un tavolino e un piccolo comodino, dove da
armadio fungeva una nicchia nel muro nascosta dietro una tenda, e lì
vi si potevano appendere degli indumenti su di un manico di scopa
fissato di traverso. Certo il resto della biancheria doveva restare
in valigia o finire sul tavolino, oppure andava stipato in un’altra
simile nicchia che si trovava al primo piano dove invece del manico
di scopa, c’erano dei piani di tavole a scaffale.
Ancora più
su, all’ultimo piano, la quarta stanza, era completamente vuota e
sembrava non fosse mai stata usata.
Solamente la
cucina e il primo piano avevano ancora il pavimento di pietra
originale del Medioevo e, mentre le altre tre stanze sovrastanti
avevano i muri originali coperti dal calcestruzzo dipinto di bianco,
nella stanza al primo piano i muri erano stati lasciati allo stato
naturale, il che le conferiva un’aura, un non so che, come di
antica e saggia austerità.
L’insieme
emanava un’atmosfera verdiana e teutone, sapeva di arcaico, di
dignitoso e solenne, evocava Sinfonie verdiane e vibrava di fantasmi
wagneriani, di giganti walkirie dalle enormi tette e dal leggiadro
passo nonostante il mostruoso *** e il cipiglio da ammazzasette, sì,
il tutto traboccava di dignitosa sobrietà, per questo affittai
quell’antica Casa.
Anche se in
verità, pensandoci bene e per dirla tutta, più che un appartamento
mi era sembrato di aver preso in affitto una solenne tana, un
maestoso tugurio, una specie di “Wolfschanze” tutta mia
personale, dove potevo ritirarmi e sentirmi a mio agio.
Un tavolo,
una sedia, una stufa con i fornelli a Gas, un secchiaio murato, con
il lavapiatti in acciaio inox, un frigorifero e un piccolo armadio
aperto, questo era l’arredamento semplice e spartano della cucina.
La stanza
non aveva una finestra vera e propria, durante il giorno da una
specie di feritoia quadrata come nelle antiche torri normanne del
Medioevo, chiusa con un’inferriata esterna e un telaio vetrato non
apribile all’interno, entrava un po’ di luce, per avere una
luminosità migliore però, bisognava, come del resto nelle altre
Stanze, tenere la luce elettrica sempre accesa.
Le finestre,
anche se piccole, cominciavano invece dal primo piano in poi, dove
ogni stanza aveva la sua piccola finestra sul vicolo che portava ad
altri vicoli nel tortuoso labirinto della Città Vecchia.
Sul
pavimento sotto il tavolo della cucina c’era un tappeto dal disegno
moderno e smagliante di colori scarlatti che a mio avviso stonava con
l’insieme della mia nuova tana, quel tappeto davvero non
apparteneva allo spartano insieme, e così pensai di toglierlo.
Fu allora
che scoprii che sotto il tappeto c’era una botola, in questo modo
seppi anche dove si celava il Serbatoio dell’acqua potabile al
quale aveva fatto allusione la padrona di casa, senza però, chissà
perché, dirmi esattamente dov’era, difatti si era limitata a
informarmi che al rifornimento dell’acqua ci avrebbe pensato lei,
pertanto, anche se a malincuore, rimisi il tappeto al suo posto e
feci finta di non vederlo più.
Come
si suol dire in Germania, a volte in Italia gli orologi funzionano in
modo differente dal normale, difatti il sistema sanitario non era
allacciato all’Acquedotto. La casa era stata adibita da quasi una
mezza eternità a magazzino e ripostiglio e solamente da poco tempo
era stara resa abitabile. Sarebbe stato
necessario farne formale richiesta, questo però avrebbe portato con
sé altri problemi burocratici come l’allacciamento dei servizi
sanitari alle fognature comunali, che invece la resoluta padrona di
casa aveva fatto attuare abusivamente dai propri parenti e amici con
un colpo di mano notturno.
Ci sarebbe
stata anche la possibilità di allacciarsi abusivamente
all’Acquedotto comunale, portando a termine un ennesimo colpo da
Ussari, seppi in seguito che questo avrebbe mandato sulle barricate
l’anziana vicina con la quale la mia padrona di casa da secoli
ormai, non andava più d’accordo.
Nemmeno il
vecchio calzolaio che aveva il suo botteghino in un bugigattolo nello
stesso vicolo, ricordava più la ragione precisa della guerra tra le
due anziane signore, indagai in proposito una sera alla Pizzeria del
Gallo Nero, ma fu laconico e mi disse solo che se quelle due non la
finivano, un giorno o l’altro avrebbe buttato un secchio d’acqua
in testa a entrambe.
Considerato
che erano secoli ormai che sognava invano di tirare loro un secchio
d’acqua addosso, sicuramente sarebbero passati chissà quanti
secoli ancora in cui avrebbe continuato a ripetersi di volerlo fare,
senza mai mettere in pratica il suo bellicoso proposito.
Le due
signore non erano malvagie, nemmeno semplicemente cattive, erano solo
strane, vecchie, zitelle e scorbutiche, né più né meno che questo.
Vivevano
sole in un altro vicolo non lontano dal mio, e forse proprio per la
loro solitudine erano diventate insipide e irte di spine, piene di
rancori e impietose l’una verso l’altra, come solo le donne lo
possono essere.
La gente
anziana del vicinato, da come mi spiegò finalmente il calzolaio una
sera, era sicura che nella loro giovane età, subito dopo la guerra,
le due si fossero innamorate dello stesso pescatore, poi diventato
negli anni d’oro del contrabbando di sigarette di cui Monopoli in
Italia era praticamente la Capitale, lui stesso un contrabbandiere di
successo.
Accadde però
che per colpa di piccoli disguidi e reciproche incomprensioni e
incompatibilità di pensiero con la locale guarnigione della Guardia
di Finanza, una bella notte il loro Principe Azzurro facesse fagotto,
e certi suoi amici, in fretta e furia con un peschereccio, lo
portarono in Grecia.
Dalla Grecia
emigrò in America, promettendo loro di ritornare presto, per
prendersi finalmente una delle due per moglie, non appena i suoi
disguidi con i cocciuti finanzieri che lo volevano ad ogni costo
sbattere in galera per contrabbando di sigarette, fossero stati
chiariti.
In realtà
da quel giorno non si fece più vedere nè sentire, e dopo pochi anni
nella Città Vecchia si sparse la notizia che il loro sogno di tante
notti insonni si era nel frattempo sposato negli Stati Uniti con
un’altra donna, figlia di emigrati monopolitani.
Fu così che
da quel momento le due donne cominciarono ad accusarsi a vicenda
della loro solitudine, e da come mi spiegò il calzolaio, senza però
poterci giurare sopra, pare che tra le due innamorate di allora,
proprio in seguito a questo episodio, fosse scoppiata la guerra di
nervi che alimentava la loro avversione l’una verso l’altra, e
che ormai durava da decenni.
È chiaro
che con questi presupposti la padrona di casa non poteva allacciare
abusivamente la propria abitazione al sistema idrico della Città, la
sua vicina avrebbe subito chiamato i Vigili Urbani.
Fu così che
solamente il sistema sanitario e la cucina erano stati allacciati
abusivamente al sistema fognario cittadino e anche questo fu
possibile soltanto dopo che la petulante e denunziante vicina, in
seguito un violento battibecco tra le due contendenti, questa volta
un po’ più violento del solito, dovette essere ricoverata in
Ospedale per una sua ennesima crisi di nervi,
Grazie
all’intraprendenza imprenditoriale della padrona di casa, da quel
giorno, i futuri inquilini non ebbero più necessità di usare il
bagno e i servizi sanitari pubblici che si trovavano sotto il
piazzale del Mercato della frutta e del pesce della Città vecchia.
Un altro
punto a favore della casa era il fatto che anche la luce elettrica
era gratis, difatti anche l’allacciamento elettrico alla Rete era
abusivo e, per quanto da straniero nordista non potessi concepire una
cosa simile, trovai nei fatti, il modo di vivere e di pensare sudista
alquanto sbrigativo e redditizio.
Le uniche
cose alle quali avrei dovuto provvedere da solo erano il Gas per la
cucina, le provviste, le lenzuola per il mio letto, e basta.
Alla padrona
di casa chiesi anche se conosceva una donna che potesse, un paio di
volte alla settimana, tenermi in ordine la casa, cosi mi trovai ad
avere per la prima volta in vita mia anche una perla che non solo mi
teneva in ordine le stanze, ma mi lavava la biancheria e se
dimenticavo di lavarmi i piatti, la perla mi lavava pure quelli.
L’anziana
signora mi aveva procurato persino un televisore e aveva provveduto a
sistemarmi un’antenna sulla terrazza, in cucina mi ero sistemato un
buon ricevitore Radio che avevo sempre in valigia con me, che mi
permetteva di seguire i risultati di Calcio della Bundesliga e
ascoltare anche i Notiziari tedeschi della Deutsche Welle.
In questo
modo il mio piccolo mondo casalingo nella mia Wolfschanze era
veramente tranquillo e borghese, mi sentivo quasi civilizzato.
Per molti
forse il mio tugurio sarebbe potuto sembrare un po’ strano, per
altri magari addirittura strambo e quasi incivile, ma era pulito e
decoroso come d’altra parte tutta la città vecchia era pulita,
decorosa e tranquilla. Anche per questo lì mi sentivo a mio agio,
tanto che decisi di restarci per tutta la durata del Contratto di
lavoro, tralasciando di cercarmi con calma un altro appartamento più
comodo e soleggiato come mi ero dapprima prefisso.
C’è da
dire anche che le Città Vecchie di qualsiasi città, se ben tenute e
pulite come quella di Monopoli, mi attirano e mi incuriosiscono,
quasi mi dominano con il loro fascino sottile dal quale mi è sempre
difficile sottrarmi.
Anche se io con i miei
pensieri e le mie idee sono saldamente ancorato nel presente e tengo
lo sguardo rivolto verso il futuro, ciononostante sono convinto che
la chiave per un nostro futuro migliore, non si trovi su Marte, ma
sia nascosta nel nostro passato. È da lì dobbiamo partire per
cercare il nostro futuro, che si nasconde tutto tra le Mura e la
Storia delle Città Vecchie, nelle antiche Chiese, nelle Cronache
cittadine e nei racconti del tempo andato e non di certo in qualche
pietra trovata sulla Luna o portataci da un qualche asteroide piovuto
sulla Terra chissà da dove.
Sono le Città Vecchie che
ci parlano che ci raccontano del tempo andato e ci ammoniscono con le
loro testimonianze, ci scongiurano con la loro Storia a non ripetere
gli stessi sbagli che tanti prima alcuni di noi hanno già fatto,
solo per questo sono fermamente convinto che la chiave del nostro
futuro sia ben conservata e visibile nel nostro passato.
Basterebbe volerci
guardare dentro e valorizzare al massimo, le bellezze, le capacità
artigiane e gli insegnamenti della nostra Storia passata, senza
deduzioni di comodo o interessi di parte.
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1. Le pietre miliari della nostra Storia Scritto da
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, il 01-07-2011 09:49 Ciao Gigi. Faccio un tentativo con tre Editori Italiani, se in tre Mesi non ho risposta positiva accettabile, mi butto e pubblico da solo in Germanani e il Libro sarà reperibile da grossisti come Amazon con tanto di Numewro ISBN Quella Storia uscirà in un modo o nell'altro quest'Anno ci puoi giurarere sopra. Grazie delle tue incoragginati parole. Un caro abbraccio anche a te. Franco
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2. Grazie Franco! Scritto da
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, il 23-06-2011 23:30 Mi sbaglio o è questo l'inizio di quella "storia" che ci avevi promesso un po' di tempo fa? Ho letto tutto di un fiato e devo farti i complimenti. Naturalmente aspetto con trepidazione le puntate seguenti. Un caro abbraccio. Gigi Zazzera PS.Quando hai descritto l'alloggio mi sono venuti i brividi perché, più di 50 anni, ho vissuto anch'io, con la mia famiglia, in quattro stanze disposte su quattro piani...
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