Ho passato da poco una giornata a Roma dopo diverso tempo che mancavo, ero in Prati.
Mi son sentita estranea, come capita ormai da tempo : folla maleducata e sporcizia, non più i fiori nei giardini pianoterra ,nè portieri
davanti ai palazzi a prendersi cura un po’
di tutti, ma palazzi ingrigiti, portoni
chiusi e disadorni , mentre su tutto intorno aleggiava un che di vecchio e sciatto, unica
consolazione, l’inimitabile ponentino con il suo effetto distensivo e
pacificatore. E sull’onda del ponentino, sono riandata con la memoria alle vecchie osterie , indissolubilmente
legate ai rispettivi osti : Mario di via dei Serpenti, magro, pallido e paterno
con i suoi piattoni di spaghetti cacio e pepe, divini e troppo abbondanti, o il castrato al sugo che si scioglie in bocca accompagnato da un vino.. degno del
paradiso.
E Checco, in quel di Trastevere, con una coda alla vaccinara
da favola, e i maccheroni alla
paiata che andavano ordinati per tempo..
ho cercato il locale e neanche lo ritrovo più, chi sa che fine ha fatto:
svanita l’allegra sfrontatezza degli osti romani, svaniti i profumi, le
risate sornione, i romani de n’a vorta, le vecchie matrone ingioiellate
, imperiose e spesso allegramente sboccate… un mondo di cui rimangono
ormai pallidi ricordi. Sono andati via i Romani e so rimasti li burini!
Voglio offrirvi un
acquerello de le osterie di Roma firmato Mario Ugo Guattari.
OSTERIA ROMANA
Pitturati sur muro,
er Foro, l’Appia, Rugantino e Nina.
De fora, un pergolato
E qualche tavolino
Cò le macchie der vino
Che l’estate ha seccato,
come a testimonianza
che sotto que’la pergola
ca se magna e se beve a crepapanza.
L’osteria è frequentata
Dar solito vecchietto
Che s’aggusta er “goccetto”
E se fa ‘na fumata,
pensanno che un quartuccio abboccatello
fa vedè ‘sto monnaccio assai più bello.
Ce trovi la famija fagottara
Che se porta da casa puro er sale;
l’oste la guarda male,
ma in fonno in fonno, è certo
de guadambià cor prezzo der coperto..
Sonatori ambulanti affezionati
A li motivi de tant’anni fa;
co’ tutto che li tempi so cambiati
canteno ancora “Affaccete Nunzià”..
Né la penombra, all’ora de chiusura,
el locale somija a ‘na cappella;
in cima ‘a la cucina
arde ‘na lampadina
sotto ‘na Madonnella
che da lassù protegge l’osteria.
E da quer posto, riceve le fumate d’un incenso
Che odora de soffritto e polli arrosto.
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