Abruzzo ricostruzione e timore di nuovi stupri paesaggistici Irpinia docet

Scritto da Marista Urru   
mercoledì 08 aprile 2009

Edificio pubblico a Bisaccia esempio di "architettura organica"  di Aldo Loris Rossi

".. La sua ricerca è rivolta all'affermazione di un'architettura liberata da incrostazioni metodologiche e orientamenti culturali, un'architettura che si confronta organicamente non solo con il territorio ma che si pone anche come struttura massmediale per adeguarsi ai linguaggi delle nuove tecnologie ed esprimente lo spirito del tempo. "

Sicuramente artisticamente  sarà così, non posso saperlo, ma so che le persone abitano  case e non opere d'arte, ammesso che nel tempo queste opere organiche confermino di essere quello che viene al momento sbandierato: arte. Per ora un dato di fatto la impossibilità di trovare foto delle mirabilia architettoniche costose che  architetti illuminati hanno piazzato nel  bel Paese di Bisaccia, solo  qulache foto di questo non meglio precisato edificio pubblico, per il resto, anche  gli immobiliaristi preferiscono fornire  una immagine  del Paese che sia rispettosa dello spirito del Paese  e dichi nei secoli lo ha cstruito quello che è e che senza dubbio non sentiva il bisogno di  quelli che appaiono come costosi ed avveniristici stupri paesaggistici


















L'esempio di Bisaccia e gli errori architettonici possibili
di Camillo Langone
Tratto da Il Foglio del 8 aprile 2009

No, l'Irpinia no! L'altra notte mi sono svegliato di soprassalto, ero spaventato e sudato: ho immaginato che per l'amato Abruzzo si profilasse una ricostruzione in stile Irpinia e non poteva esserci incubo peggiore. Siete mai stati a Bisaccia? Andateci.

E' un paese che fa parte della provincia di Avellino, quindi Campania, anche se a me sembra Lucania dal freddo che fa e dal vento che tira. Ha dato i natali a due personaggi, uno che la ricostruzione l'ha fatta e uno che l'ha descritta. Il primo è l'architetto Aldo Loris Rossi. Ve lo ricordate? Quando si discuteva del piano-casa era in prima fila tra i plaudentes. Per carità di patria feci finta di non vederlo e non ne scrissi, però pensai: se un provvedimento piace a lui deve nascondere qualche magagna. Il secondo personaggio è lo scrittore Franco Arminio, il bardo triste dell'Alta Irpinia, e come potrebbe essere allegro uno che vive in un "blob urbanistico" fra le "opere oscene che l'architetto Aldo Loris Rossi ha piazzato a Bisaccia nuova".

Chi ha visto la chiesa di Bisaccia non se la dimenticherà per tutta la vita, "una chiesa cui si potrebbero applicare dei potenti motori per favorirne il decollo verticale e dunque il ritorno alla strana galassia da cui pare giunta, essendo tale e quale un'astronave", ha scritto un altro autore campano, Francesco Durante, in un libro intitolato "Scuorno" ovvero "vergogna", il sentimento che dovrebbe invadere chi ha disegnato approvato finanziato un simile spavento. "Io quando muoio non voglio essere portato in questa chiesa" dice Arminio, terrorizzato dalla prospettiva.

E non mi dilungo sugli altri edifici realizzati dal diabolus loci, tutti ambiziosamente "polifunzionali", come da retorica architettese, ma che poi faticano ad assolvere una funzione sola. Chi conosce la neolingua orwelliana comprende subito l'irragionevolezza dell'architettura che si dice razionalista, la disorganicità degli architetti che si definiscono organici, eccetera. L'Abruzzo non deve cadere nelle mani di questa gente. Non deve subire un secondo terremoto, il Richter cinque punto otto dello sradicamento formale e spirituale. Niente Rossi, niente Portoghesi, niente Botta e soprattutto niente Libeskind, un altro devastatore di panorami e di bilanci, però su scala planetaria, che Moratti o Formigoni o Ligresti (ammesso non siano sinonimi) ancora vorrebbero a Milano perché non sanno quello che fanno.




John Silber nel suo "Architetture dell'assurdo" (Lindau) racconta la grottesca presunzione e l'insufficienza tecnica delle archistar più adulate. Gli edifici di Frank Gehry in cui piove dentro e i grattacieli di Libeskind, i più ambiziosi dei quali, da erigersi sull'area del World Trade Center, sono stati bocciati dalle autorità newyorkesi (meno provinciali e intellettualmente ricattabili di quelle milanesi) per via dei costi folli e della fragilità strutturale. Qualora simili individui si dovessero spingere oltre Tagliacozzo bisognerà lanciargli addosso il mammut del Museo Nazionale, quattro metri e mezzo di elefante autoctono abruzzese, con una zanna che non finisce più.

 Ma poi, che fare? Templi e palazzi del centro storico vanno ricostruiti com'erano dov'erano, coi modi che hanno salvato l'anima di Venezia (Fenice), di Noto (Cattedrale) e soprattutto del Friuli, che nel '76 fu colpito ancor più severamente di quanto sia stato l'Abruzzo oggi. Sarà da tralasciare solo la riedificazione dell'hotel Duca degli Abruzzi, un canchero piazzato nel cuore della città quando Bruno Vespa era giovane, miseramente crollato con tutto il suo cemento non abbastanza armato.

Di nuovi volumi bisogna invece parlare nelle periferie brutte e cattive, sfasciate, più che dal sisma, da costruttori rapaci e professionisti compiacenti (dovrebbero tutti prendere esempio dall'ingegner Di Geso, che a Trani imponeva la propria presenza al momento di ogni gettata, affinché a nessun disgraziato venisse in mente di trasformare il cemento in sabbia). Non sono molti coloro che si meritano, oggi in Italia, di lavorare in una città che pullulò di umanisti e di santi. Sicuramente l'urbanista Marco Romano che pensa le città come opere d'arte, ognuna con "un proprio riconoscibile stile", in cui centro e periferie sono unite da una sequenza di temi collettivi, simboli capaci di trasformare in cittadini gli indigeni più nichilisti e gli immigrati più riottosi.

E gli architetti? Mi sbilancio con qualche nome, persone che mi sembrano capaci di rispettare i luoghi con volumi, colori e materiali congrui: il lucchese Pietro Carlo Pellegrini, pratico della zona essendosi laureato a Pescara, poi Adolfo Natalini e Massimo Carmassi, toscani pure loro, forse Flavio Bruna e Paolo Mellano, forse Pietro Pagliardini. O loro, o l'Irpinia.








Edificio polifunzionale studiato per la "riqualificazione ambientale del Duomo di Avellino". Spero ardentemente non sia stato realizzato.
Anche per Avellino sembra impossobile una ricerca fotografica,  ho trovato solo immagini del buon Paese antico di questi appiccicumi  artistici non trovo che progetti il cui valore non è in discussione qui, ma che indubbiamente non trovano sistemazione valida accostati al nostro patrimonio artistico, all'estero lo fanno? Permettetemi un licenza liberatoria, .. e chi se ne frega di quel che fanno all'estero! fanno  per questo anche tante belle cose per la gente comune che noi ci guardiamo bene dall'imitare e proprio dalla violazione dei paesaggi e del territorio dobbiamo cominciare?






Avellino il Duomo piazza

















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