PER ELIMINARE I “BAMBOCCIONI” BASTEREBBE PAGARE IL LAVORO QUELLO CHE VALE

Scritto da Marista Urru   
lunedì 18 aprile 2011

infermieri sottopagati e sfruttati

Come ti smonto la “leggenda” degli italiani che non vogliono fare gli infermieri perché è un lavoro sporco: 17mila in un anno sono emigrati in Inghilterra. Là prendono 4.800 euro mese contro i 1.000-1.300 che gli toccherebbero qui

 di Camillo Scoyni su FuturoLibero








 

 

C’è una leggenda metropolitana che gira in Italia sugli infermieri. E’ un mestiere “sporco” che gli italiani non vogliono fare più e così fino ad oggi abbiamo “importato” da paesi comunitari come Bulgaria ed extracomunitari come il Congo quasi 20mila infermieri e ne servono altri 40mila.

La barzelletta trova una eco nel dibattito che si è aperto tra i ministri Tremonti e Maroni, il presidente del Censis De Rita e il piddino Enrico Letta sulla qualità del lavoro italiano e sulle esigenze del mondo dell’occupazione. Per Tremonti siccome in Italia lavorano quattro milioni di stranieri, anche sodo, non si può parlare di disoccupazione, anzi, siamo alla piena occupazione. A casa restano i figli degli italiani che non vogliono fare fatica, i famosi “bamboccioni”. E De Rita – in un’intervista a Repubblica  – afferma: "Basta con gli studi inutili, meglio

andare a imparare in fabbrica. Dal 1977 c'è stata una divaricazione nel mercato del lavoro: da una parte i nostri giovani hanno imboccato la strada della scolarizzazione progressiva; dall' altra gli immigrati che hanno coperto i buchi lasciati liberi. I nostri giovani sono stati colpiti dalla

maledizione/benedizione della scuola. Gli abbiamo detto: investi in istruzione che il lavoro verra'. Abbiamo pompato frequenze e titoli di studio". Dunque "se si studiano cose che non servono" studiare può fare anche male. "Abbiamo sacrificato gli istituti tecnici, quando l' Italia si e' costruita su di loro. Che ce ne facciamo dei diplomi generici? E dei corsi di laurea che non hanno alcuna ragione d' essere?" si chiede De Rita.  

Le parole di De Rita sono affascinanti, ma sostanzialmente false.

Riprendiamo la leggenda degli infermieri. Non è vero che mancano infermieri italiani, è vero che 17mila di loro sono emigrati in Inghilterra e altri 5.000 lavorano in Nord Europa tra Danimarca e Irlanda, un paio di migliaia se ne sono andati in Spagna, altri addirittura in Australia. Dopo aver seguito corsi universitari che ne hanno fatto delle “eccellenze” hanno la legittima aspirazione di guadagnare. E in Inghilterra un infermiere specializzato guadagna 4.800 euro lordi di retribuzione mensili contro i nostri 1.100- 1.300

Il problema è serio quanto semplice. Lo denuncia L’OMS, l’organizzazione sanitaria mondiale. Nell’emigrazione-immigrazione per lavoro, nelle nazioni che si impoveriscono si verifica la “fuga dei cervelli”, ma dovremmo dire anche quella “delle manualità”, che vanno a lavorare in posti dove vengono pagati meglio e vengono sostituiti da professionalità di minore eccellenza che provengono da Paesi in via di sviluppo. Insomma: un italiano vuole 5.000 euro di stipendio al mese e se le va a prendere in Inghilterra, il bulgaro vede nei 1.300 euro italiano la stessa crescita di potere d’acquisto e viene in Italia.

Questo vale per tutte le professioni e i mestieri. Per questo gli operai specializzati italiani lasciano il posto ai loro omologhi albanesi e arabi, e spariscono mestieri storici come il fioraio, il panettiere, finanche il pizzaiolo. Dal 1990 ad oggi – e sono 20 anni – le retribuzioni in Italia sono rimaste sostanzialmente invariate (gli stipendi con la lira sono stati dimezzati, 2milioni di lire sono diventati 1.000 euro), mentre il costo dlela vita è aumentato di oltre il 50%. L’infermiere non vuole evitare un lavoro sporco, vuole soltanto che la sua prestazione sia retribuita per quello che vale. Sennò va via. E lascia che gli italiani che non lo pagano siano presi in cura da persone che neanche parlano bene la lingua e che – certamente – diminuiscono il livello di efficienza delle strutture, delle aziende, delle imprese e della vita quotidiana di tutti.      



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