Nonna Ada in cucina - da Mariella Profumo di PANE sardo |
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Scritto da Marista Urru | ||||||||||||||||||
sabato 05 settembre 2009 | ||||||||||||||||||
![]() Profumo di P A N E sardo Raccontare il PANE di Sardegna vuol dire addentrarsi in un sacrario, bisogna farlo in punta di piedi. Il pane, in Sardegna, è un alimento indispensabile, (sicuramente lo è in tutto il mondo, ma ora sto parlando del pane nella mia isola!); la sua importanza va oltre il valore nutrizionale. Il Pane è : tradizione, ricordo, amore, sacrificio, una volta .... stato sociale. I ricordi mi proiettano indietro nel tempo... Il grano, che veniva portato al mulino, luogo affascinante, pieno di rumori caratteristici di cui sento ancora l'eco malgrado sia trascorso quasi mezzo secolo, era accatastato nel solaio, sopra c'era il lettone dove dormivano le mie zie. Ricordo questo mucchio enorme di grano biondo sparso nelle tavole che costituivano il pavimento (su intabau). A quei tempi non era una strana consuetudine, dormire sopra il grano, oggi sarebbe stata la causa di mille starnuti...c'era una polvere e odore particolare, si miscelavano agli odori delle ceste appese (crobisi) alle pareti, alcune dal diametro di almeno 1 metro e mezzo, basse e larghe, venivano usate per mettere la pasta del pane a lievitare dopo che, mani pazienti, l'avevano resa a pezzature tutte uguali, semisferiche, lisce, morbide come i seni gonfi di latte delle mamme. Il pane è espressione di festa, buon auspicio. In questo contesto veniva confezionato in forme diverse, spesso con strane forme o raffiguranti piccoli animali, uccelli. Il pane di "pasta dura" in sardo coccoj, veniva forgiato a mò di coroncina fiorita, le punte lavorate come un pizzo delicato. Era il tipico pane degli sposi. In senso beneaugurante voleva intendere "Che non vi manchi mai il necessario". Le nozze venivano benedette non solo dalle famiglie ma anche dai vicini di casa, che omaggiavano la coppia portando in dono il pane così lavorato e adornato di fiori (pervinche), carta colorata smerlettata, tutto era una specie di rito propiziatorio. A Pasqua noi bambini avevamo la nostra coroncina di pane oppure un uccellino con l'uovo sodo incastonato sul dorso. Non avevamo l'uovo di cioccolato con sorpresa, ma era bello lo stesso. Ma il pane speciale, non era solo sinonimo di festa, c'era (e forse c'è ancora) l'usanza di preparare il pane nero (integrale) in occasione di un lutto, significava la tristezza dell'abbandono. Il nero...perenne per le vedove e le madri orfane di figli morti precocemente. Ondate di ricordi mi portano nella cucina dove mia madre con le mie zie (sue sorelle), avvolte nei grembiuloni bianchi lavoravano, impastavano la farina, tutto in religioso silenzio, come se il chiacchiericcio potesse, in qualche modo disturbare il rito. Chi entrava in cucina, venendo da fuori salutava con "Deusu si castidi" (Che Dio vi guardi), la risposta era " Amen" (così sia!) Mentre il saluto di commiato, dopo che il lavoro terminava era: "Atra botasa"(Alla prossima volta). La risposta: " Deusu Bollada" (Dio voglia!). Scambiavo queste impressioni con le amichette di un tempo. Venivo così a sapere che la tal zia quella volta non la fecero partecipare alla lavorazione del pane perché ......"Ha quelle cose"! ... Mistero! Svelato, poi, nel tempo. La donna mestruata era bene non toccasse il prezioso impasto. Veniva relegata ...in "fonderia" a sfornare, con la lunga pala piatta, il pane cotto e fragrante, compito che di solito era riservato alle madri o in assenza, alla zia più "grande", quella che sapeva fare meglio, che sapeva tutto. Nel mio caso era zia Peppa, allora giovane, zitella poi, arcigna, severa, carabiniera mancata. Con noi nipoti usava dire: "tutti fermi, tutti zitti, non toccate..." forse pensava.."non respirate" ma per amore di pace famigliare evitava di aggiungere la frase alla lista dei rimbrotti. (oggi zia Peppa ha appena compiuto 85 anni...non è cambiata!) Il pane di ogni giorno era ed è, ancora oggi, di forma semi tonda (su civraxiu) lo ricordo di grandi dimensioni, (ma forse ero io troppo piccola), le grandi pezzature dovevano servire per sfamare famiglie numerose. ![]() Il pane doveva mantenersi fresco a lungo, in modo particolare quello che i pastori portavano nei luoghi di pascolo. Allora si preparava il pane carasau (carta da musica), sottili sfoglie di pasta non lievitata cotta due volte, questa doppia cottura serviva affinché la sfoglia ottenuta perdesse l'umidità, durando per settimane, a volte anche mesi. I pastori lo consumavano inumidito, condito con formaggi o ricotta, pomodori e uva (pani frattau). ![]() Il tutto veniva accompagnato dall'immancabile vino cannonau. Il vino di nonno, generalmente, era maturo per...condire l'insalata, aveva un vago sapore di aceto! Tenero nonno! Lui non buttava via nulla, nemmeno il vino imbevibile! Pane come stato sociale. Mi riferisco agli anni '50-'60. Chi aveva la sicurezza di avere il pane tutti i giorni erano sicuramente i contadini, una classe di persone che nulla chiedevano e poco avevano da dare. Un aneddoto famigliare forse farà capire meglio: Mia madre era figlia di un contadino. Mio babbo figlio di minatori; quando tirava fuori velleità da cittadino usava parole, a dir poco sprezzanti, nei confronti di chi aveva origini agro pastorali, mia madre lo tacitava con queste lapidarie parole: " A noi il pane non c'è mai mancato, nemmeno durante i bombardamenti*, voi non avevate nemmeno quello!" Il saccente babbo doveva solo tacere perché chi comandava in casa era la donna. Comandava perché faceva i figli, li allevava con amore e con tanti sacrifici, li educava secondo sani principi,....non ultimo: sapeva fare il pane! Queste sono reminiscenze, sembra quasi fantasia..c'è ancora chi fa il pane in casa sfruttando l'antico sapere raccontato, ma non è come allora...la legna con cui si scalda il forno non ha lo stesso aroma, l'acqua non possiede la stessa purezza. Tutto questo poco importa, posso dire: " Io ho vissuto tutto questo per poterlo raccontare qui." Grazie Marista. * in riferimento alla seconda guerra mondiale
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